25. GEFANGENE

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Quando Paul posò le dita sulla maniglia della porta, il metallo gli sembrò così freddo da coprirgli il palmo di brina.
E quando la voce di John Lennon, ancor più gelida, lo raggiunse, ebbe la certezza che l'inverno lo avrebbe mangiato vivo.

"Sei venuto qui per uccidermi?"

Il tedesco esitò, senza osare muoversi.

"Entra, allora" proseguì l'altro, sarcastico.

Paul spinse la maniglia, sentendo i muscoli sciogliersi lievemente al  rafforzarsi della sua volontà, e mosse il primo passo nella camera da  letto del maggiore.
Lo guardò tirarsi su, la schiena sorretta da cuscini scarlatti, insoliti e regali.

"Gli affreschi sul soffitto, li hai fatti tu?" chiese, distratto dallo scivolare del pigiama di John lungo la sua spalla. "Li ho visti quando mi hai portato qui. Dopo che Richie-" si bloccò,  incapace di continuare "Per qualche ragione tu mi hai salvato, John  Lennon. Hai salvato me"

Il maggiore rimase inerme, ad ascoltarlo, la mascella appena irrigidita.

"Perché lo hai fatto?"

"Perché sono una persona buona" sputò infine John, con una smorfia.

Paul serrò gli occhi, e lasciò che i polmoni si empissero d'aria.
La trattenne, a lungo, prima di tornare a parlare.

"No, tu sei un bastardo" commentò, privo di cattiveria, amareggiato "Quindi te lo richiederò. Perché mi hai salvato?"

Percepì, dietro le palpebre ancora strette, il fruscio del lenzuolo che  veniva spostato, e pochi attimi dopo il respiro di John Lennon sulla  bocca, a un soffio da lui.

"Perché lo volevo. A tutti i costi. Che tu restassi vivo" sibilò il  maggiore, con una rabbia che, Paul lo percepì chiaramente, era rivolta  più contro se stesso che verso di lui.

"Non è vero", e fu difficile ammetterlo a se stesso.

Conosceva il tono di quelle bugie, lo stesso tono che lui stesso aveva usato per dire a George che lo amava.
E capì, infine, quanto male potesse fare.

"No" ammise John Lennon.

E lo baciò.

Paul lasciò che le labbra del maggiore sfiorassero le sue, piano, gentilmente.
La stessa delicata ed elegante attenzione che aveva nel suonare il piano, riproposta sulla bocca schiusa e inerme del tedesco.

Si lasciò sfiorare, poi lo colpì.

Se ne rese conto un attimo dopo, quando percepì un atroce dolore alle  nocche, e vide il volto incredulo di John, seduto a terra, un rivolo di  sangue che dalla narice correva a suicidarsi tra le labbra strette.

Fece per parlare, ma già il maggiore si era fiondato su di lui, trascinandolo a terra a furia di pugni.

Paul continuò a colpirlo a sua volta, accecato dal sangue, il suo e  quello di John, che si mescolava sui loro visi e i loro vestiti.

Non  sapeva come fermarsi, l'adrenalina che gli dava una forza inumana,  certamente spropositata rispetto alle braccia smagrite, e la pelle  traslucida delle nocche che si spaccava.

Forse non voleva fermarsi, voleva che le crepe si allargassero dalle  nocche al resto del suo corpo fino a farlo cadere in pezzi, a ridurlo a  un mucchietto incosciente e senza emozioni.

O forse voleva sentire di  più, sempre di più, quello che in quei mesi gli era stato negato,  gridare e fare rumore, reagire alle angherie beffarde della vita, degli  uomini, dei ricordi.

𝐒𝐌𝐎𝐊𝐄 𝐁𝐄𝐍𝐄𝐀𝐓𝐇 𝐀 𝐒𝐈𝐋𝐄𝐍𝐓 𝐁𝐋𝐔𝐄 𝐒𝐊𝐘 - mclennonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora