Lavorare, quello era l'unico modo per restare in vita.
Lavorare e indossare una maschera, almeno davanti ai tedeschi.Paul imparò in fretta a svolgere le proprie mansioni all'interno del campo, senza lamentarsi per i carichi troppo pesanti.
Mostrava all'istante il tatuaggio, a mensa, e la sua voce risuonava, chiara e pronta, durante ogni appello.
Non faceva domande e non reagiva alle provocazioni, chinando semplicemente la testa se uno schiaffo gli raggiungeva il viso scavato.
"Sembri uno di quei soldatini del cazzo, sempre sull'attenti" sibilò George in un chiaro mattino di primavera, durante l'ennesimo ed estenuante appello.
"Ci tengo a restare vivo" specificò seccamente Paul, lanciando uno sguardo di fuoco al compagno.
"Non sei diverso da loro" mormorò George, con un sorriso a metà fra il sarcastico e il malinconico."Credevo che mi avessi insegnato tu queste cose" ribatté Paul, puntando i grandi occhi in quelli dell'altro, che si affrettò a distogliere lo sguardo.
Paul aveva questi immensi occhi scuri che al sole sembravano quasi smeraldi, e la cosa ancora lo destabilizzava."Io ti ho insegnato a indossare una maschera per autodifesa, non a farne il tuo vero volto".
Ed eccoli lì.
Quei lampi negli occhi di Paul a ricordargli che l'uomo che aveva davanti era solo una pedina indifesa in un gioco più grande di lui, e che stava disperatamente cercando di vincere.
L'ordine di Rudolf Höff di tornare a lavoro arrivò indistintamente alle orecchie di George, sfiorandolo appena prima di proseguire il suo cammino verso il cielo azzurro sopra di loro.
Era raro, vedere un cielo così blu ad Auschwitz.
E George ne sapeva qualcosa.Quando gli sembrava di non farcela più, quando al mattino faceva un po' più freddo fuori e dentro di lui, quando ricordava di essere così perdutamente solo,
il cielo era lì.A ogni nuova giornata alzava gli occhi, e ne annotava mentalmente il colore.
Da quando era ad Auschwitz aveva visto trentasette cieli bianchi, sessantatré cieli neri e ottantacinque cieli grigi.
Era il suo modo per non impazzire, guardare il cielo mutare sopra di lui, e quello era il primo cielo azzurro che avesse visto da quando la sua conta era iniziata.
"Io non sono questo, George" mormorò Paul, distogliendolo dai propri pensieri.
George rimase in silenzio, con gli occhi fissi sulle nuvole che si rincorrevano in una danza arcana e incomprensibile.
Le dita di Paul sfiorarono la sua mano, accarezzandone con dolcezza il dorso come a chiedere un permesso di cui non aveva bisogno.
George le strinse fra le sue, con un brivido.Il cielo era azzurro, sopra Auschwitz.
"Corri"
"Cosa?"
George non ebbe il tempo di chiedere altro, perché Paul lo trascinò via, approfittando del fatto che Rudolf Höff stesse discutendo animatamente con uno dei Kapò del campo.
"Dove cazzo stiamo andando? Se ci beccano ci ammazzano, maledetto tedesco" borbottò George, trattenendo un sorriso alla vista delle loro mani allacciate.
Paul si fermò di botto, afferrandolo per le spalle e sbattendolo contro la parete della prima baracca che gli capitò a tiro, "Non voglio che mi chiami in questo dannatissimo modo" sibilò, a un passo dal suo viso.
George accennò una risata ironica "Vuoi baciarmi, Paul? Perché in quel caso sappi che non stai rendendo la situazione troppo romantica"
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𝐒𝐌𝐎𝐊𝐄 𝐁𝐄𝐍𝐄𝐀𝐓𝐇 𝐀 𝐒𝐈𝐋𝐄𝐍𝐓 𝐁𝐋𝐔𝐄 𝐒𝐊𝐘 - mclennon
Fanfiction[mclennon] Da quando era ad Auschwitz aveva visto trentasette cieli bianchi, sessantatré cieli neri e ottantacinque cieli grigi. Era il suo modo per non impazzire, guardare il cielo mutare sopra di lui, e quello era il primo cielo azzurro che avesse...