13. UNTERSHLUPF

186 37 3
                                    

Ringo entrò in cucina fischiettando, quel giorno, e si dedicò immediatamente a preparare la colazione per John Lennon.
"Sono arrivato" esordì, a voce alta, rivolgendo un sorriso alla padella che aveva in mano.
"E ora sto cucinando delle uova. Saranno deliziose, una volta finite" aggiunse, friggendo abilmente due occhi di bue, "Hanno davvero un buon odore, sono stato bravo" commentò quindi, rimirando il proprio lavoro.

Una piccola risata lo distolse dai propri ragionamenti, costringendolo a voltarsi.

"Buongiorno, signore" borbottò Ringo, chinando docilmente la testa rasata.

John Lennon restò appoggiato allo stipite della porta, con un sorriso divertito sulle labbra.
Portava sulla guancia destra il segno fresco del cuscino, gli occhi gonfi per il sonno e il sorriso smarrito di chi è stato strappato ai propri sogni e deve riabituarsi alla realtà.

Non indossava ancora l'uniforme da maggiore, e con quel pigiama blu e i capelli spettinati aveva davvero poco del bastardo nazista.

"Hai iniziato a parlare da solo?" chiese pigramente John, sbadigliando e strofinandosi gli occhi con il pugno chiuso, come un bambino.

"Sì, signore".

"Interessante, e credi di saperlo fare a voce più bassa?" proseguì il giovane maggiore, staccandosi dallo stipite per stirare le braccia.

"Sì, signore".

"Perfetto" commentò quindi, "È pronta, la mia colazione?".

"Sì, signore. Vuole che gliela serva nello studio?" chiese Ringo, che ormai conosceva a fondo le abitudini dell'inglese.

"No, grazie. In realtà non ho poi così fame, e sono in ritardo" ricordò distrattamente John, "Una tazza di caffè basterà, puoi buttare via il resto".

"Sì, signore" ripeté Ringo per l'ennesima volta, affrettandosi a versare il caffè e porgerlo al padrone.

Ad essere onesti, non era poi così male, lavorare per John Lennon.
Se Ringo si sforzava di ignorare le cicatrici ancora fresche sulle proprie guance e l'incisivo spezzato -gentili regali delle lune storte del maggiore- riusciva quasi a ritenersi fortunato.
I polacchi, solitamente, venivano spediti nelle camere senza neanche passare per la selektion, e Ringo conosceva cuochi che venivano trattati peggio.

E poi, John Lennon era abbastanza sbadato da non accorgersi del cibo che spariva di tanto in tanto.

Tutto sommato, considerò Ringo, sarebbe potuta andargli peggio.

Il maggiore non era gentile, sicuramente, ma lo trattava con una sorta di timida complicità e diceva "Grazie" e "Per favore".
Erano parole che gli scappavano, Ringo poteva notarlo dal modo in cui il maggiore sbatteva velocemente le palpebre subito dopo, pentito.
Residui di quando era ancora una brava persona, e che non riusciva a trattenere.

"Vado a prepararmi" lo avvisò John, svuotando la tazza in qualche sorso veloce, "Sarò di ritorno per le due del pomeriggio. Per quell'ora voglio che sia tutto in tavola, d'accordo, hamfling?".

Ringo annuì, un gesto meccanico e distratto che aveva imparato a ripetere.

"Alle due, non scordartelo" gli intimò nuovamente John, uscendo dalla cucina e incamminandosi pigramente su per le scale per andare a prepararsi.

Oh, non se ne sarebbe scordato di sicuro.

Ringo sorrise fra sé e sé, e rimase in religioso silenzio finché non sentì la porta sbattere.

"Se ne è andato" mormorò quindi, scuotendosi dal proprio torpore, "Se ne è andato" ripeté, a voce alta.

"Cosa aspetti, allora? Fammi uscire da questo fottuto buco" gli rispose con veemenza una voce attutita proveniente dal salotto.

𝐒𝐌𝐎𝐊𝐄 𝐁𝐄𝐍𝐄𝐀𝐓𝐇 𝐀 𝐒𝐈𝐋𝐄𝐍𝐓 𝐁𝐋𝐔𝐄 𝐒𝐊𝐘 - mclennonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora