8. ICH LIEBE DICH

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Paul dedicò l'intera giornata a pensare.
E pensò così a fondo che a un certo punto credette di essersi fottuto il cervello.

Più di quanto già fosse, insomma.

Assemblava canne di fucile con gli occhi vacui, respirando l'aria bollente e insalubre della fabbrica, e le spingeva poi verso George, che si occupava di saldarle.

Il lavoro in sé era già abbastanza alienante senza che Paul si ci mettesse con i suoi maledetti pensieri, ma quel giorno le sue immense paranoie non apparivano intenzionate a lasciarlo in pace.

Il problema era sempre quello, lo stesso che sembrava perseguitarlo da quando aveva messo piede in quel dannato campo.

John Lennon.

Paul non aveva mai pensato a se stesso come un maledetto frocio, e aveva intimamente deciso che il legame che si era venuto a creare con George fosse dettato dalla necessità di evadere al clima del campo.

Ormoni in subbuglio, ecco.

E poi, da quanto tempo non aveva a che fare con una donna?
Non avrebbe saputo dire esattamente da quanto si trovasse ad Auschwitz, ma era quasi certo di aver oltrepassato da un po' i tre mesi.
Ed era un bel periodo di tempo, considerando il fatto che a Berlino la routine era portarsi a letto ogni sera una ragazza diversa.

Si sarebbe mai portato a letto John Lennon?
Dio, assolutamente no, aveva i brividi al solo pensiero.

Brividi di paura e disgusto, sicuramente.

Non poteva però negare che il giovane maggiore esercitasse su di lui un certo ascendente, che gli faceva perdere la testa.

Paul sospirò, lanciando un'occhiata carica di sensi di colpa alla propria destra, dove George lavorava in silenzio.

Quella mattina, quando l'altro si era intromesso fra lui e la SS, ancor prima della paura per quello che sarebbe potuto succedere all'amico, Paul aveva provato qualcos'altro.

Fastidio.

Era infastidito perché George aveva cercato di entrare in una faccenda fra lui e John Lennon, e aveva interrotto quel contatto che aveva mandato a fuoco l'animo e il corpo di Paul.

Oltretutto, quando Brian gli aveva raccontato di come la sua strada e quella dell'inglese si fossero incrociate, Paul ne era stato quasi invidioso.

Non geloso, perché geloso era una cosa da froci.

Semplicemente, sarebbe potuto essere interessante, avere a che fare con il ragazzo che Brian aveva dipinto tramite parole infuocate.

Continuò a pensarvi anche quando si lasciò cadere sul proprio pagliericcio, esausto, alla fine della giornata.

Nel solito angolo, Ringo canticchiava quella che sembrava essere una ninna nanna polacca.

Dormiva lì, ormai, sdraiato sul pavimento, e nessuno riusciva a convincerlo a muoversi.

Si era ripreso bene dal trauma, gli avevano detto i medici, e appariva semplicemente più fragile, con momenti di estrema lucidità che si alternavano ad attacchi di panico frequenti e strazianti.

Fortunatamente, ciò non aveva intaccato il suo talento culinario, ancora molto apprezzato dagli ufficiali tedeschi.

E da John Lennon, in particolare.

Paul sospirò, voltandosi ad incontrare il viso preoccupato di George.

"Tutto bene?" chiese quest'ultimo in un sussurro.

Paul scosse la testa, stringendosi a lui e affondando il viso nell'incavo del suo collo.

Basta pensieri, decise.

𝐒𝐌𝐎𝐊𝐄 𝐁𝐄𝐍𝐄𝐀𝐓𝐇 𝐀 𝐒𝐈𝐋𝐄𝐍𝐓 𝐁𝐋𝐔𝐄 𝐒𝐊𝐘 - mclennonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora