3. FREUNDE

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Quando arrivò al blocco dodici, Paul era talmente stremato che si limitò a crollare sulla soglia, respirando affannosamente per calmare il ritmo spropositato del suo cuore.

Era fradicio per via della neve, e sentiva il freddo congelarlo fin nelle ossa.

Delle voci intorno a lui, poi delle braccia che lo tiravano su e lo spogliavano, massaggiando accuratamente ogni suo muscolo per imprimervi calore.

"Va tutto bene, basta che tu non chiuda gli occhi. D'accordo?" mormorò un uomo, prendendogli con delicatezza il volto fra le mani.

Paul cercò di rispondere, ma dalla sua gola fuoriuscì un semplice rantolo.

Aveva così tanto sonno.

"Vaffanculo, ti ho detto di tenere gli occhi aperti. Guardami" ripeté la figura sfocata davanti a lui, scuotendolo vigorosamente.

Va tutto bene.

Quell'uomo aveva detto così.

Aveva detto che andava tutto bene.

Paul cercò di credergli, cercò di credergli con tutte le sue forze.

Puntò i propri occhi in quelli profondamente scuri dell'altro e lottò per restare sveglio, ignorando la pesantezza delle palpebre.

"Così, bravo" mormorò lo sconosciuto, mentre un altro uomo lo rivestiva con degli indumenti asciutti, "Non preoccuparti, sei a casa"

A casa, rifletté Paul, mentre gli si chiudevano gli occhi.

Casa era una parola veramente bella,

anche ad Auschwitz.

*

Il suo fu un sonno agitato e costellato da incubi, tanto che, quando alla fine si svegliò, si sentì ancora più spossato.

"Allora non sei morto" ridacchiò stancamente una voce alla sua destra, avvolta dal buio della notte.

Paul si voltò lentamente, riconoscendo immediatamente gli occhi scuri che lo avevano tenuto attaccato alla vita con così tanta forza da non permettergli di scivolare via.

Appartenevano a un uomo che doveva essere suo coetaneo, con il cranio rasato e il corpo quasi scheletrico.

Nonostante l'aspetto fragile sorrideva, distendendo i lineamenti marcati e spigolosi, e tremava nei propri vestiti umidi.

"No" confermò Paul, con un pizzico di amarezza, "Non ancora".

L'uomo accanto a lui annuì appena, guardandolo intensamente negli occhi, "Io sono George" si presentò, tendendogli la mano.

Paul la strinse, "Io mi chiamo Paul".

Era una scena quasi sovrannaturale, così quotidiana.

"Il novellino si è svegliato?" chiese una voce da uno dei pagliericci, mentre una testa faceva capolino fra le assi di legno, "Ciao, sono Ringo" riprese l'uomo, sventolando la mano destra.

Paul li guardò stranito, stringendosi fra le proprie ginocchia in un istintivo tentativo di proteggersi.

"Perché non mi avete lasciato morire?" chiese semplicemente, lasciando vagare gli occhi per il tugurio.

"Eri troppo fradicio per essere bruciato nei forni, il fuoco non avrebbe attaccato, e poi chi li sentiva, questi tedeschi" rispose seccamente George, incrociando le gambe e sedendosi accanto a lui.

Paul decise, a favore della propria salute mentale, di non fare alcuna domanda riguardo ai forni.

Rimase in silenzio, ad ascoltare il respiro tranquillo di George fendere l'aria gelida e colorarla di bianco.

𝐒𝐌𝐎𝐊𝐄 𝐁𝐄𝐍𝐄𝐀𝐓𝐇 𝐀 𝐒𝐈𝐋𝐄𝐍𝐓 𝐁𝐋𝐔𝐄 𝐒𝐊𝐘 - mclennonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora