Ci sono giornate capaci di incastrarsi meravigliosamente nel quadro delle nostre storie, in un connubio perfetto di stravolgimenti emozionali e nubi temporalesche.
Paul ebbe il tempo di pensarlo mentre piangeva, la pioggia che sposava le lacrime in rivoli sporchi.
L'acqua lavava via la polvere dal suo volto, tingendosi di un colore scuro ed aspro che ben rifletteva il suo stato d'animo.
Un filo di sangue scappava dalle labbra esangui del corpo che Paul si ostinava a vegliare, anche nella quieta immobilità della morte, il capo ripiegato su un lato, gli occhi spalancati e privi di vita.
Una piccola pozza di sangue si raccolse al di sotto del capo, sotto i colpi incessanti della pioggia e delle lacrime che Paul continuava a versare, e che disegnavano disordinati cerchi concentrici sulla superficie della pozza.
Paul si chinò un'ultima volta sul corpo, le dita gli chiusero gli occhi e proseguirono sul suo viso alla stregua di una carezza, e senza tutto quel sangue e il foro in testa si sarebbe creduto che fosse solo un uomo addormentato, sul serio.
Pianse.
Non fu nulla di nobile, non c'è alcuna nobiltà in un uomo che trema e si accartoccia.
Pianse, semplicemente, perché non sembrava esserci altro da fare.
La pioggia continuò a cadere, inclemente, indifferente alle miserie e alle gioie degli uomini, diluendo il sangue che si riversava a terra mentre Paul, le falangi tremanti, cercava di raccoglierlo con le mani a coppa immerse nella pozzanghera vermiglia, come pensando che rimetterlo al proprio posto potesse fermare lo scorrere inarrestabile del tempo, che prima o poi riscatta tutto e tutti.
Rimase lì, Paul McCartney, il cuore straziato dal dolore, il sudore freddo e la pioggia a infradiciargli la schiena.
E dire, Paul, che il cielo ti aveva avvertito.
*
Quel mattino, si era svegliato prima ancora dell'alba, spaventato dai tuoni che avevano squarciato il suo sonno già leggero e agitato.
Si divincolò dalla stretta di George, attanagliato dai sensi di colpa, e si sedette sulla soglia della porta malandata, le ginocchia strette fra le braccia.
Dio, perché doveva essere tutto così difficile?
Era già abbastanza complicato essere una specie di cosa smagrita e senza capelli, senza nome e senza appartenenza.
Era già abbastanza complicato provare attrazione -e il cuore di Paul si rivoltò nel suo stesso petto- per un maledetto carnefice, e scoprire in un altro prigioniero un'anima gemella che forse non desiderava più.
George era davvero tutto ciò che aveva sempre desiderato in una persona, rifletteva alla perfezione tutte quelle qualità e quei difetti che Paul sognava e temeva.
La dichiarazione della sera prima lo aveva spiazzato, semplicemente perché non aveva idea di cosa fare.
Aveva sempre creduto che avrebbe riconosciuto all'istante il vero amore, con tutta quella roba delle farfalle e degli occhi che brillano, ma si stava rivelando un'immensa stronzata.
Al momento non capiva davvero un cazzo.
Paul era solo un piccolo essere umano tormentato dai dubbi.
"Piove" mormorò qualcuno alle sue spalle, facendolo sussultare.
"Sì, piove" confermò semplicemente il giovane tedesco, senza voltarsi.
"Qualcosa non va?"
Paul si costrinse a guardare George negli occhi, scrutando a fondo la sua espressione interrogativa.
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𝐒𝐌𝐎𝐊𝐄 𝐁𝐄𝐍𝐄𝐀𝐓𝐇 𝐀 𝐒𝐈𝐋𝐄𝐍𝐓 𝐁𝐋𝐔𝐄 𝐒𝐊𝐘 - mclennon
Fanfiction[mclennon] Da quando era ad Auschwitz aveva visto trentasette cieli bianchi, sessantatré cieli neri e ottantacinque cieli grigi. Era il suo modo per non impazzire, guardare il cielo mutare sopra di lui, e quello era il primo cielo azzurro che avesse...