15. AFANGEN

190 35 13
                                    

"Buongiorno, Paul"

"Buongiorno, Ringo"

L'amico gli tese una mano per aiutarlo ad uscire dal nascondiglio, e Paul la afferrò con un sorriso grato.

"Come vanno le cose, al campo?" chiese il tedesco, rischiando di crollare su se stesso al primo passo.
Le sue gambe, sempre raccolte e immobili, sembravano aver dimenticato quanto sforzo richiedesse sostenere il peso di un corpo.

Ringo sbuffò, passandosi il braccio destro di Paul intorno alle spalle per aiutarlo a camminare, "Vanno come sempre".

Il tedesco annuì, zoppicando con difficoltà fino alla cucina, e si gettò, esausto, su una delle sedie.

"Il cielo com'è, oggi?"

Ringo non esitò un attimo "Azzurro, un azzurro molto bello".

Paul gli sorrise, tamburellando le dita sul tavolo, "Davvero? Beh, è fantastico. A quanto stiamo ora?".

Il polacco ci pensò su, tenendo il conto sulle dita delle mani, "Ventitré cieli a metà fra l'azzurro e il bianco, dieci grigi e diciassette azzurri".

"Erano diciassette ieri" intervenne Paul, sforzandosi di muovere le gambe anchilosate.
"Giusto. Allora con questo sono diciotto" si corresse Ringo, "Diciotto cieli azzurri".

Un sorriso scambiato da entrambe le parti.

Non era poi cambiato molto, da quando George se ne era andato.

Respirare era un po' più difficile, e anche sorridere davvero.
E poi c'erano le gambe di Paul che erano diventate terribilmente difficili da usare, e che quasi non lo sorreggevano più.

Ringo lo costringeva a camminare in tondo per la cucina per almeno un'ora al giorno, sperando che ciò servisse a restituire ai muscoli un po' di vigore, ma Paul si stancava troppo facilmente e finiva per cadere a terra.
Abituatosi ormai all'immobilità del nascondiglio, il tedesco non ricordava più cosa significasse correre, come ci si sentisse ad avere il vento che ti frusta la faccia e ti allarga i polmoni.

Aveva delle gambe sottili come steli d'erba e un improvviso terrore del fuoco, adesso.

Bastava che Ringo accendesse i fornelli per preparare qualcosa perché Paul iniziasse a urlare e contorcersi, costringendo il polacco a stringerlo fra le braccia e a tappargli la bocca con la mano, sussurrandogli che tutto sarebbe andato bene e c'era solo da aspettare.

Quella paura era nata il giorno stesso della morte di George, quando Ringo aveva accidentalmente ascoltato una discussione fra John Lennon e Rudolf Höff.

Qualcosa che faceva tipo "È bastato poco. Appena ci siamo resi conto che si erano ricoperti di benzina è bastato lanciare un paio di fiammiferi accesi. Ancora correvano, quei bastardi" e relative risate e pacche sulle spalle.

Il polacco era scappato via senza neanche pensare a ciò che sarebbe accaduto se John Lennon avesse notato la sua assenza, ed era crollato a terra, in ginocchio, nel bel mezzo dello spiazzo destinato agli appelli.

Davanti a lui, delle cose impiccate che un tempo dovevano essere stati uomini, tetri e carbonizzati e irriconoscibili.
Li aveva contati freneticamente.

Dieci.

I nove fuggitivi, più, a quanto pareva, il bravo contadino che aveva cercato di aiutarli.

Gli occhi di Ringo avevano analizzato ogni singolo corpo, ignorando il disgusto che gli saliva alla gola.
Per quanto avesse studiato attentamente i lembi di carne lacera e carbonizzata che ancora restavano attaccati ai crani, non era riuscito a distinguere George, né Stuart, né alcun altro.

𝐒𝐌𝐎𝐊𝐄 𝐁𝐄𝐍𝐄𝐀𝐓𝐇 𝐀 𝐒𝐈𝐋𝐄𝐍𝐓 𝐁𝐋𝐔𝐄 𝐒𝐊𝐘 - mclennonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora