Capitolo 31

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Pov's Simon

Non lo capisce, non capisce che deve stare lontana da me.

E, invece, no, continua a starmi accanto, non preoccupandosi che magari le farò di nuovo del male.

Ora sono qui, ad osservarla danzare con me.

Ero venuto a cercarla per consolarla, di solito me ne frego, ma Cecilia ha veramente esagerato con le parole.

Chiamarla feccia, oltretutto.

Si vede che ci è rimasta malissimo, è scappata in lacrime.

Quello che non mi aspettavo, invece, è che si sfogasse così tanto, arrivando pure a dire parolacce.

Chissà quante cose ha dentro quella mente tanto furba quanto fragile.

Osservo ogni suo lineamento, tutti lineamenti dolci e innocenti.

La faccio roteare, facendola ridacchiare e facendo alzare di poco il suo vestitino.

Non pensavo mettesse davvero una cosa del genere, quando è entrata in mensa non sembrava neanche lei.

Era una bambola di porcellana, lo è ancora ora.

Non ha note di imperfezioni, il mascara è solo un po' colato per via delle lacrime.

La spingo verso di me e la vedo arrossire, cosa che mi fa sorridere.

La faccio dondolare lentamente tra le mie braccia, a ritmo delle lente note della canzone.

Sono sempre stato bravo a danzare, mio padre mi ha costretto a prendere lezioni di danza perché pensa che mi serviranno in futuro.

Il mio futuro è diventare preside, non un ballerino.

O almeno è quello che vorrebbe che diventassi mio padre, un preside.

Ma non so cosa voglio fare in futuro e di sicuro non voglio diventare come mio padre.

La ragazza dai capelli castani chiude gli occhi quindi io ne approfitto per guardarla ancora più intensamente.

È così rilassata, il suo sorriso è così sincero che mi fa impazzire.

Ma quello che mi attrae di più sono le sue labbra.

Smettila di sorridere, Fiona, perché mi fai venire voglia di baciarti e non posso.

È così fragile tra le mie braccia che incrocio ancora di più le nostre mani.

Quando prima si è seduta su di me, per la prima volta il suo sguardo era di una sofferenza che non avevo mai visto.

Non su di lei e non con così tanta intensità.

E il suo modo di guardarmi in qualche assurdo modo mi ha eccitato.

«Hai dimenticato il tuo quaderno in biblioteca» parla finalmente aprendo gli occhi.

I suoi occhi nocciola mi scrutano e io arrossisco, colto sul fatto a guardarla.

Il mio quaderno.
Ecco cosa avevo dimenticato.

Non avrà mica letto...?

«Sono belle le frasi scritte nei due post-it. Sei tanto poetico. Per chi erano dedicate?»

Cazzo, le ha lette, quindi.

Oh, Dio mio.

Continuo a tenere le nostre dita intrecciate, ma comincio ad essere infastidito.

«Lo sai che non si guardano le cose altrui?» rispondo soltanto.

Le faccio fare un'altra giravolta e la spingo di nuovo a me.

Un §orriso sotto le §telle (#Wattys2019) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora