Capitolo 7

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Ufficialmente, era trascorso un mese e quattro giorni dalla sua fuga.

Henry Miller continuava a essere irreperibile via telefono, la sua posizione sconosciuta e Avery aveva sperimentato una libertà differente da quella che aveva a Burford, gratificante, totale, come se l'esistenza fosse tornata ad appartenerle. Con l'assenza del padre dalla sua vita, un lavoro fruttuoso che aveva scoperto piacerle abbastanza, un frigorifero colmo di cibo tutto suo e una casa da mandare avanti ma senza l'ingombrante presenza di gruppi di uomini intenti a giocare d'azzardo sul tavolo della cucina e a rovinare l'angusta atmosfera con la puzza dei sigari accesi, la vita era decisamente meno schifosa.

Pensiero accreditato ulteriormente nella pausa pranzo del giorno successivo, quando Katie riuscì a convincerla a fare un salto alla tavola calda messicana perché Avery espresse l'incontenibile voglia di mangiare dei nachos e affogare nelle croccanti patatine di forma triangolare dal colore giallo intenso, fritte o cotte al forno, dal gusto inconfondibile di mais tostato e servite con salsa al formaggio piccante. Aveva ricevuto una visita stamattina, malvolentieri, tuttavia la comparsa delle mestruazione voleva dire che le possibili cause di un ritardo mestruale avevano poco a che vedere con lei e, soprattutto, che il suo anello vaginale l'ultima volta aveva funzionato egregiamente e non era incinta.

D'allora, aveva creduto di essere pronta a tutto fronteggiando gli atroci crampi al ventre placati solamente grazie ai forti antidolorifici trovati casualmente nella borsa e che si era promessa di andare a comprare in farmacia, ma non si aspettava certamente di ritrovarsi sul marciapiede, da un veicolo nero, impeccabilmente lucido che si faceva beffe di loro, Brad Cooper che ne usciva.

«Quello è...»

«Se dici un altro oddio ruberò anche la tua porzione di nachos.»

Katie, con il respiro mozzato, era impalata davanti a ostruirle il passaggio e lei era giusto arrivata a frenare per evitare di travolgerla. Bloccate tutte e due sull'uscio della porta, lo guardavano come se il tempo avesse rallentato per far godere loro dello spettacolo. La consapevolezza di averlo a un metro distante era tremenda quanto piacevole. Avery era a labbra schiuse e sentiva il sangue cominciare a infuocarsi nelle vene. L'uomo tolse gli occhiali da sole e vedendo la presupposta ragione per cui era lì, dall'altra parte della città, sorrise da vero sconsiderato e si avvicinò alle due. Avery ritrovò un barlume di lucidità e autocontrollo e strinse gli occhi, suo abitudinario modo per affrontare solitamente quello che non era certa fosse la miglior cosa prendere di petto.

Per essere sexy, era sexy però.

«Buonsalve Sig. Cooper.» Katie lo salutò con voce e aria incantata, con un termine la cui esistenza nel vocabolario era discutibile.

L'inconfutabile prova che non era importante verso chi l'attrazione di una qualsiasi persona era rivolta, il suo fascino accattivante e di una tale portata, sicurezza e virilità attirava la gente indistintamente come un magnete. Anche con jeans, sneakers ai piedi e t-shirt a maniche corte bianca immacolata, contrariamente ai desideri piccanti di Avery, era sicura fosse l'uomo più sexy del pianeta.

Lui avvicinandosi fece un gesto con la mano, continuando a sorridere. «Nessun Sig. Cooper per favore, chiamami solo Brad. Posso darti del tu?»

«Assolutamente, Sig - Volevo dire Brad.» Gli rivolse un sorriso a trentadue denti. «Volevamo ringraziarti ancora per quella notte da incubo. Non avevamo idea che fossi tu, la stessa persona che il giorno dopo avrebbe chiamato in ufficio per affidarci insieme al Sig. Kane l'evento per la pubblicizzazione della palestra.»

«Ho fatto solo quello che un uomo con sani principi morali avrebbe dovuto fare.»

«Purtroppo non siete molti.»

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