Chapter 4 - Andrea Pau

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Harley rombanti ovunque. Un furgone dalle ruote altissime. Piloti con casco e mascherina . Sguardi fissi, mani pronte allo scatto. Sembra un cazzo di raduno degli Hell's Angels.

«Abbiamo la squadra di soccorso più assurda della storia», dico ad Alberto.

Un tizio scende dal furgone e ci viene incontro.

Lo riconosco dal primo passo. Il Lord.

Dico io, di tutti quelli che conosciamo, proprio lui doveva chiamare? Il Lord mi fissa per l'intero percorso, distoglie gli occhi solo per salutare Alberto.

«La miseria... fai ancora coppia con questo... questo...»

Alberto scrolla le spalle.

Il Lord sputa a terra. Manca la punta del mio anfibio di un niente. «Anch'io sono contento di rivederti, Lord.»

Non ribatte, e fa cenno di seguirlo.

«Prendete il carico e salite sul mio Daily, datevi una mossa» sibila.

Cosa? Non ci penso nemmeno.

«Abbiamo il mio camion. Tu e i guerrieri della notte fateci da scorta» dico camminando verso il parcheggio.

«Se sul sedile ci tieni un cuscino, forse è ancora buono per dormirci. Controlla le gomme», urla il Lord per farsi sentire oltre il rombo dei motori.

Capisco ancora prima di guardare per davvero. La mia carretta è inclinata su un lato, gli pneumatici sono stati squarciati, e non ho bisogno di un mago del cazzo per sapere chi è stato.

«Kledi. Quel pezzo di ...»

«Prendete il carico, intanto faccio il giro col mio furgone!» urla il Lord. «Ho detto: datevi una mossa!»

Alberto spalanca i portelli del mio camion e si mette a tirare fuori gli zaini. Così, nemmeno un mezzo pensiero (sempre che sia un optional di cui è dotato). Quando il Lord si piazza di fianco con una sgommata, apre il portello laterale del suo Daily e ce li butta dentro.

Un minuto dopo siamo sopra, proprio mentre comincia a piovere.

Il Lord preme sul display del telefono, fa per attivare il navigatore ma Alberto dice solo: «Prendi a e destra».

Il Lord sterza. Questione di un secondo. Nessuna esitazione.

Albe sta seduto tra il Lord e me, ha arraffato una rotella di liquirizia dal cruscotto e la sta srotolando con gusto. Io osservo fuori dal finestrino (e spero che, a parte le indicazioni, quei due stiano zitti). L'orecchio ha smesso di pulsarmi, il dolore è diventato un vecchio nemico pieno di croste ma sotto, be', sotto c'è un gran casino di cose. Non devo pensare a niente.

Le strade sono sempre semivuote, figuriamoci a quest'ora della notte. Certo, ci sono branchi di giovani maschi in giro, anche con la pioggia. Incrociamo un gruppo più numeroso, si spostano sull'altro marciapiede lanciandoci appena un'occhiata.

«Dopo il semaforo, la seconda a sinistra.»

Alberto mastica liquirizia e dà indicazioni al Lord con la stessa flemma. Conosce la città così bene che alza appena gli occhi, neanche l'avesse costruita lui dentro qualche videogioco, come si faceva prima del virus, quando i giga si potevano sprecare addirittura per giocare. Decisamente un'altra vita, nemmeno mi ricordo com'era senza qualche spacciatore come l'Olandese a vendere nuovi modem coi preziosissimi codici d'accesso in cambio di un rene. O di un fratello.

Mi ricordo del virus, ogni momento. Il colpo di scena che ha assorbito tutti gli altri fotogrammi (la scuola, l'ultimo Natale dai nonni, Dan che litiga con la zia, il bacio che ho dato a Mar...).

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