Chapter 33 - Lucia Vaccarino

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Un salvagente.

Delle boe.

Un corno di chissà quale animale.

Una gabbia per uccelli.

Nadia è sdraiata per terra, sulle assi di legno del pavimento. Sente le ossa delle scapole e del bacino premere contro la pelle, ma non ha la forza di spostarsi.

Un cartello in cirillico.

Un giubbotto di salvataggio.

Una campana nautica.

Una pentola smaltata.

Quando Pat l'ha trascinata lì, dicendole di non muoversi, Nadia l'ha presa alla lettera. Non potrebbe fare altro, è come inchiodata a terra. Non vuole scappare mai più.

Una rete da pesca.

Un piatto di peltro.

Un gagliardetto.

Una forchetta.

"Questo è il museo della vita nautica, in questa stanza ci sono le cose che il mare ha restituito alla terra" le ha spiegato Pat prima di andarsene.

E Nadia si sente esattamente così: una cosa rimasta, inghiottita dalle onde e risputata indietro.

Forse è morta anche lei, come Martha, come Mei Ling. Come Dan. Forse la sua mente le sta giocando un altro scherzo e non si è accorta di essere arrivata al capolinea. Forse è lo shock.

Un secchio.

Una caffettiera.

Un cappello.

Una bottiglia.

E una ragazza che contiene la Cura. Una cavia, un pezzo da museo, una sequenza di DNA. Sangue, saliva, tessuti: campioni. Non sente più niente, solo il fastidio sordo delle ossa contro il pavimento.

«Nadia!» la chiama Johnson, entrando nella stanza e quasi inciampando sui suoi piedi. «Ehi... che ci fai lì per terra? Dai alzati, siamo riusciti a collegare i computer e Ivan ti aspetta!»

Poi la guarda, e ci deve essere qualcosa di davvero sconfortante nei suoi occhi, perché Johnson sbuffa, e senza attendere risposta la afferra per un braccio, tirandola in piedi come una bambola di pezza.

Nadia si appoggia a lui, l'olezzo di sudore della sua pelle dovrebbe farle arricciare il naso e invece le sembra quasi piacevole. L'odore di un corpo vivo.

«Ehi, ce la fai? Te la senti?»

La ragazza annuisce, deglutisce più volte e poi gracchia un secco «sì».

Doveva aspettarselo, il laboratorio di riserva di Ivan è dentro al mulino a vento. Eccolo lì, che si staglia scuro fra le casette di pescatori ricostruite e il grande edificio di vetro e legno con il tetto tutto spigoli.

«Dai, ci siamo» la esorta Johnson, facendola entrare.

Pat le corre incontro con il suo passo saltellante da ragazzina, e la aiuta a distendersi su un lettino.

«Ne bojsja, Nadia, andrà tutto bene» dice Ivan. «Lo sai che in russo Nadia è il diminutivo di Nadezda, speranza?»

Lei chiude gli occhi. Non sa più bene cosa sia, la speranza. Ma forse ora non è importante.

Poi tutto finisce.

I preziosi campioni sono fuori dal suo corpo.

«Ora il programma che io e Ivan abbiamo messo a punto isolerà la sequenza genica, e avremo la formula della Cura» spiega Johnson, con gli occhi puntati sullo schermo del computer davanti a lui.

«Dai, dai, dai... » lo sente mormorare con impazienza.

Finché all'improvviso un rumore di legno spezzato.

Qualcuno ha sfondato la porta.

Non di nuovo, sono stufa di scappare...

«Sapevo di trovarvi qui.»

Abraham entra nel laboratorio. Ha in mano una pistola, e la punta contro il computer.

Nadia si alza come in un sogno, l'energia che fino a pochi istanti prima l'aveva abbandonata sta tornando. Con quell'ultimo prelievo le sembra che un grosso peso sia uscito dal suo corpo. Ma non è ancora finita, e adesso tocca a lei.

Mentre Ivan, Pat e Johnson la guardano immobili e terrorizzati, Nadia si frappone fra Abraham e il computer.

«Non te lo permetterò» dice.

«Questa cosa è più grande di te» risponde lui, secco.

«Questa cosa è me. È loro, è l'umanità intera. Quindi sì, è più grande di me, ma anche di te ed è colpa tua se sono qui. Sei mio padre.»

Lui esita.

Bene, questo ci farà guadagnare tempo...

«Forza, sparami» insiste. «Non mi hai mai voluta, mi hai usata per i tuoi scopi, abbi il coraggio di farla finita! O il fatto che condividiamo parte del DNA è davvero così importante, per te? Eppure non ti ha impedito di ignorarmi. Non ti ha impedito di lasciar morire Dan. Ammettilo, non conta niente!»

Nadia sente Johnson sospirare, un impercettibile sibilo, con quella sua vocetta acuta che improvvisamente le appare melodiosa.

Ok, il computer ha finito di calcolare. Abbiamo la sequenza.

Abraham preme il dito sul grilletto, e contemporaneamente Nadia si butta a terra. Le schegge di plastica le colpiscono la schiena e le gambe, e tintinnano sul pavimento mentre le orecchie le si riempiono di un fischio alto e stridente.

«È finita» sogghigna l'uomo, ma poi spalanca gli occhi per la sorpresa.

Alle sue spalle c'è Margareth, che gli punta un'altra arma alla sua testa.

«Sì, è proprio finita» dice lanciando il suo tablet a Johnson come prova, visto che il suo computer è andato in pezzi.

«La formula della Cura è pronta, si sta già diffondendo online, ora chiunque può accedere e sintetizzarla... » esclama Johnson, il volto illuminato da un sorriso enorme.

Ivan annuisce. «Ypa! Certo, ci vorrà un po' perché la terapia genetica venga messa a punto, l'umanità se ne accorgerà fra qualche mese, ma è fatta!»

«Posa quell'arma, Abraham, è tutto finito per davvero, e per sempre» dice Margareth.

Lui esita, sembra pronto a lanciarsi su quella che un tempo era la sua compagna.

Nadia li guarda, affascinata. Loro due sono stati l'inizio di tutto, e ora anche di quello restano appena granelli di sabbia al vento.

«Andiamo» dice a Ivan, Pat e Johnson, ed esce dal faro senza aspettare risposta.

È il momento di lasciarsi tutta quella storia alle spalle.

È il momento di iniziare davvero la vita.

La sua vita.

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