Chapter 18 - Guido Sgardoli - INIZIO SECONDA PARTE

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Se l'erano ritrovata addosso. Quella faccenda.

Nessuno avrebbe potuto immaginarla, neppure lontanamente. Non nella vita reale, almeno.

Certe cose stavano solo nelle pagine di romanzi distopici o sullo schermo, in film catastrofici di basso livello, quelli che Nadia detestava e che invece suo fratello diceva di adorare alla follia, forse solo per darle contro e farla incazzare sostenendo insostenibili teorie a supporto della proprie motivazioni.

Fatto sta che accadde.

Esattamente come in uno di quei romanzi, come in uno di quei film.

Qualcuno, in rete, ne stava parlando da un paio di settimane, ma così, come si potrebbe parlare di una comune influenza, di un morbo lontano che colpisce sconosciuti e che probabilmente mai arriverà a intaccare le vite tranquille di chi quei post li sta leggendo.

E anche quando il virus cominciò ad avvicinarsi e a bussare alle porte, ci fu chi (la stragrande maggioranza) lo considerò una semplice scocciatura, un fastidio passeggero, un innocuo rumore di fondo.

Invece (e molto più velocemente di quanto i più pessimisti avessero previsto), divenne un boato, un tornado, un ciclone spietato che stravolse il mondo per come era conosciuto trasformandolo in qualcosa di nuovo e, se possibile, decisamente meno attraente di prima.

Uno spartiacque.

Era questo il termine esatto per definirlo.

Nadia ricordava una mattina, in particolare. Erano a scuola. Il cielo basso e pesante come una coperta. Prometteva neve. Qualcuno, in classe, tossiva. Due o tre erano assenti.

Stava parlottando con la sua compagna di banco, Terry. Ridevano del tizio in seconda fila, che si era fatto un piercing economico sul labbro superiore e adesso aveva la bocca che sembrava quella di un pugile al dodicesimo round.

Il professore di matematica, però, notoriamente un bastardo, anziché riprenderle come avrebbe fatto in una situazione normale, fissava inebetito dalla finestra.

C'era qualcosa, là fuori.

Sirene di ambulanze, tanto per cominciare. Più numerose di minuto in minuto.

Gente vestita da astronauta, tanto per continuare. Scendevano da camion militari. Portavano caschi e respiratori. Camminavano come se si muovessero al rallentatore. Davano indicazioni alla gente che si trovava per strada.

Nadia e Terry avevano smesso di ridere. I compagni guardavano il professore.

Poi si alzarono, tutti, e si avvicinarono alle vetrate. La differenza di temperatura tra esterno e interno aveva creato degli aloni di condensa ai margini. Terry, senza un motivo preciso, ci scrisse il proprio nome.

«Ehm, ragazzi...» disse il professore bagnandosi le labbra che erano secche come cemento. «Credo che sia meglio interrompere. Sta succedendo qualcosa...»

Un elicottero sorvolò la scuola con il suo rumore borbottante. Un istante dopo, il segnale di fine lezione fece sobbalzare tutti. Risuonò nelle classi e nei corridoi con venticinque minuti di anticipo.

«Ok» disse il professore riprendendo le redini delle proprie azioni. «Raccogliete la vostra roba e andate nell'atrio. Senza correre. Con calma.»

Qualcuno ridacchiò, ma senza convinzione. Serpeggiava un panico silente, un'inquietudine a orologeria.

Nell'atrio, Nadia vide Dan. Aveva un braccio attorno al collo di Martha.

Stavano insieme da un po', ma Nadia non era convinta che lo facessero sul serio. Dan era uno che con le ragazze amava divertirsi. Martha, be', di Martha da un po' di tempo Nadia pensava che...

«Ehi, sorellina.»

«Che sta succedendo?» aveva chiesto lei.

«La fine del mondo!» aveva scherzato lui.

Non ci era andato tanto lontano.

Poi aveva schioccato un bacio a Martha, mentre lei sbirciava in direzione di Nadia.

Fuori, tutti guardavano tutti, come aspettandosi che qualcuno avesse delle risposte. Ma nessuno sapeva esattamente cosa stesse succedendo.

«Per favore!» gridò una voce metallica che usciva da un altoparlante. «Andate a casa! Se potete, evitate di prendere i mezzi pubblici! Non create assembramenti! Non parlate con le altre persone! Questo è un appello del Comitato per la Salute Nazionale!»

Il furgone (dovevano essercene parecchi in giro per la città, aveva pensato Nadia, in giro per il Paese o addirittura per il mondo) avanzava diffondendo un messaggio che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere una gentile raccomandazione, ma che, considerato quello che stava accadendo, pareva più un ordine.

Gli studenti appena usciti dalla scuola si staccarono gli uni dagli altri come appestati.

«È tutta una montatura» fu il commento beffardo di Dan che, intenzionalmente, continuava a serrare le spalle di Martha, a non lasciarla, per dimostrare che lui non ci credeva a quella cosa, qualsiasi fosse. Lei sorrideva, ma Nadia era convinta che stesse solo mascherando l'angoscia. Glielo leggeva negli occhi. In quanto a lei, era convinta di essere piombata in un incubo, di essere in procinto di svegliarsi da un istante all'altro ritrovando il mondo come l'aveva lasciato prima di addormentarsi.

I militari presidiarono l'incrocio poco oltre la scuola e deviarono il traffico.

Il megaschermo appeso in cima a un palazzo si oscurò per alcuni minuti poi si mise a mostrare delle immagini nuove.

Nadia riconobbe che erano riprese fatte in un paese asiatico: c'era gente ammalata che faceva la fila davanti a ospedali da campo, dove operatori del tutto simili a quelli che aveva sotto gli occhi, eseguivano un sommario triage.

L'epidemia era iniziata.

Lo spartiacque.

Presto il mondo ne avrebbe portato i segni. 

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Appuntamento a venerdì 22, con il prossimo capitolo!

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