Chapter 12 - Elena Peduzzi

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È solo una porta e la posso aprire. Tutte le porte si possono aprire.

Allora perché è ermeticamente chiusa? Cosa c'è al di là?

Attraverso il vetro opaco vedo delle luci.

Luci? Lì dietro c'è un fuori o un altro dentro? Cazzo, ho il cervello così pesante che non riesco a ragionare.

Io.

Quello di Alberto invece viaggia veloce, eccome.

Da quando ha mangiato quelle due caramelle sembra diverso. E se fossero proprio le caramelle a essere diverse da tutte le altre?

Forse per questo stringeva il pacchetto con tanta soddisfazione... ma che cazzo me ne frega poi delle caramelle? Io vorrei solo non sentirmi così male.

Albe prende a fissarmi, con due occhi enormi e luminosi come i fari di un tir. Lui sa qualcosa che gli pulsa dentro come una creatura pronta ad uscire, ma che non ha creato lui.

È come rinvigorito da qualcosa più grande di lui, che non controlla. È posseduto ecco. Lo capisco da come si muove, ma è lucido più che mai.

Il glucosio deve avergli dato alla testa, ancora una volta.

Viene verso di me, mi afferra per un braccio e mi trascina via, lontano dal muro sudicio, lontano dalla porta.

Ava ci segue, in silenzio.

E io faccio lo stesso, non mi oppongo. Anche se vorrei disperatamente aprire quella porta antincendio (è davvero antincendio?), come se lì dietro potessi trovare la formula per tornare indietro, alla vita di prima.

Prima che questo dannato virus iniziasse a divorarci, pezzo dopo pezzo.

«Martha... » dico ripensando alla dolcezza di quel bacio mai più ripetuto. E rallento.

«Cos'è che vai blaterando?»

Ava è seccata ma a me non importa. Certo, Alberto ci sta portando in salvo, ci sta mostrando la via verso... dove cavolo è che ci sta portando?

«Dai, siamo quasi arrivati» mi dice lui tipo per incoraggiarmi e intanto vedo la sua bocca che continua a masticare. A vuoto.

È già in crisi di astinenza delle sue dannate caramelle?

Ci avviciniamo a un vecchio camion dell'esercito regolare, ridotto a una carcassa.

«Cosa vuoi fare?» gli chiedo.

«Ora lo vedrai» mi dice sicuro di sé.

Io lo guardo sempre più allibito. Ma è sempre Albe? Lo stesso rimbecillito che non fa che giocare con le cartine delle caramelle frantumandomi le palle? Pare di sì.

Mi lascia andare e per poco non cado per terra, come il primo strafatto di turno. Ma Ava ha stranamente pietà di me e mi sorregge.

Albe entra nel camion, e ci fa cenno di seguirlo.

Io sono incerto, ma Ada mi spinge avanti. «Hai deciso di farti prendere da quelli, per caso?»

Entro e vorrei vomitare dal tanfo di rancido che c'è lì dentro. Ma non ho abbastanza forze nemmeno per questo.

Albe fruga fra i sedili, sotto, dentro un vano che sembra conoscere come le sue tasche. È veloce e trova ciò che cerca.

Io non posso credere ai miei occhi. «Un computer? Un cazzo di computer!» sbotto. «Cosa ce ne facciamo di un cazzo di computer se non c'è una rete a cui collegarlo?»

«La rete c'è» dice lui. «Basta sapere come accedere.»

E da come lo dice, da come si muove, Albe crede di saperlo. Incredibile.

Apre il coperchio del laptop coperto da più croste della schiena di un cane rognoso e chiude gli occhi premendo il tasto di accensione.

Un sibilo sblocca i nostri respiri paralizzati dalla tensione.

Funziona. Davvero incredibile.

«Ha poca batteria, dobbiamo fare presto» dice Ava.

«Presto per cosa?» chiedo confuso e nervoso.

Albe alza le spalle. «Per chiedere aiuto ai Nostri.»

«Ti sei bevuto il cervello?»

Ora mi incazzo. Sta delirando, non c'è altra spiegazione.

Ma lui nemmeno mi ascolta. Tira fuori dalle tasche tutte le cartine che ha e, sul cruscotto del camion, compone una specie di mosaico che solo lui conosce. Nello schermo del computer la solita finestra vuota, che nessuno di noi sa come riempire per attivare la ricerca.

Albe lo sa.

Digita lettere e numeri nella finestra, sembra un pazzo. Poco dopo ha finito.

Io fisso i caratteri con gli occhi sbarrati e sono già pronto a incalzarlo, ma succede qualcosa di assurdo: sotto la prima finestra, ne compare una seconda.

Fitta di lettere e numeri, simili a quelli che ha scritto Alberto.

Ma, allora non era la finestra di un motore di ricerca! Era una finestra di...

«Messaggi in codice» fa lui trionfante.

«E a chi li stai mandando?»

«Ai Nostri» e lo dice come se gli avessi fatto una domanda ovvia.

«Senti, adesso mi sono davvero rotto delle tue risposte senza senso. Manco fossi un oracolo del cazzo. Spiegami cosa sta succedendo. Subito!»

«I Nostri sono i nostri compagni... del laboratorio» mi dice Ava.

«Intendi le cavie sfigate che sono ancora chiuse lì dentro?»

Annuiscono in sincrono.

«E perché cavolo chiedete aiuto a loro?»

«Perché lì ci sono le risposte che cerchiamo. Lentamente sto cominciando a ricordare...»

«Puoi essere un po' più chiaro? Per favore, Albe?» ringhio.

E sono sempre più furioso.

«Me l'hanno appena confermato. I Nostri sono la coordinata. E l'Olandese è uno dei Nostri.»

Mi pulsa la testa. «Giuro, non ci capisco più niente.»

«Non devi. Adesso. Tutto ci sarà più chiaro quando saremo di nuovo al laboratorio» mi dice Albe, placido come un lago di montagna.

«Ah sì?» ribatto ironico, ma vorrei mordere dal nervoso, segno che i sensi stanno tornando. «E come ci arriviamo?»

Ava quasi sorride. «Per questo non c'è problema.»

«Basta lasciare che ci prendano.»

Non faccio nemmeno in tempo a chiedere da chi cazzo dobbiamo farci prendere che sento due mani che mi trascinano fuori dal fetido camion.

L'istante dopo è tutto buio.

Poi un rumore.

E io so esattamente cos'è.

Una porta che si chiude.

***

E ORA?

Che cosa hanno di diverso le caramelle che ha mangiato Alberto?

Chi è Martha?

Che cosa succede, adesso che i tre si sono lasciati prendere?

Che piano hanno Ava e Albe?

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