Chapter 15 - Davide Lamandini

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«Come ci si sente a uccidere il proprio gemello?»

La ragazza del negozio di ventagli sorride, gli occhi a mandorla si riducono a due fessure.

No, devo sforzarmi di non fare il suo gioco. Calma, calma, calma.

«Non sono io che ho premuto il grilletto» replico controllando il tono della mia voce anche se la mano che regge la semiautomatica trema impercettibilmente. «Sono i tuoi amici che gli hanno sparato, me lo ricordo benissimo.»

«Ah sì? E cos'altro ricordi benissimo

Stringo gli occhi.

Lo sparo.

È l'unica cosa certa che mi risuona nella testa.

Mi ricordo lo sparo e l'espressione vuota sui volti degli addetti alla sicurezza del laboratorio, come se Dan fosse solo un numero e la sua vita (morte compresa) non valesse nulla. E Dan, cazzo, Dan, ricordo quello sguardo di fuoco lanciato nella mia direzione, Dan che insisteva a dirmi di correre via, di mettermi in salvo, almeno io. E la macchia di sangue che si allargava sul suo camice bianco, all'altezza del cuore, di fianco a una targhetta con su scritto "404".

«Scappa Nadia, scappa e non voltarti indietro, qualsiasi cosa decidano di farmi... Tu puoi ancora farcela.»

E io a trattenere le lacrime perché sì, volevo correre via ma anche gettarmi su di lui solo per dirgli che fanculo, lo odiavo per tutto quello che è successo, e però non doveva finire così.

Lui non doveva morire.

E forse io non dovevo dargli retta, e andarmene. Dovevo restare con lui, salvarlo o morire con lui.

Ci penso da quando è successo.

Cazzo, è proprio vero, che sopravvivere a qualcuno che si ama è devastante. Perché Dan sì e io no?

Quando eravamo piccoli, Dan diceva sempre una frase che mi faceva salire il nervoso.

«Tocca a me, tu sei la più piccola

Per cinque minuti, ero più piccola di lui, quei cinque stupiti minuti passati prima che nascessi anch'io. E scommetto che lo avrebbe detto anche quel giorno, se non avesse perso conoscenza prima.

«Come ci si sente a uccidere il proprio gemello?»

La voce della ragazza del negozio di ventagli mi riporta al presente. Al laboratorio. Alla mia mano che tiene stretta la semiautomatica. Al suo corpo maledettamente vicino. Al suo sguardo di ghiaccio.

«Scommetto che eri nascosta da qualche parte là dietro, mentre moriva.»

La lingua mi si annoda in gola, non riesco neanche più a parlare. Prendo un respiro profondo e cerco di gridare ma niente. Appena un rantolo.

«Perché proprio noi? Cosa ti abbiamo fatto?»

La ragazza sorride sotto la mascherina e, nonostante quello che è successo, quello che ha fatto a Dan, a me e a chissà quante altre persone, riesco a pensare solo che sia bellissima. Più bella di questo mondo senza presente, fatto di condannati a ieri e di ragazzi di domani.

«Come ci si sente a uccidere il proprio gemello?»

«Voleva che mi salvassi» ringhio e stringo ancora più forte il calcio della pistola. Il polso inizia a tremare, la vista mi si annebbia e sento le dita bagnate di sudore che sono diventate colla.

«È questa la scusa che ti vai raccontando per sentirti a posto con la coscienza?» la ragazza avanza senza battere ciglio, guardandomi negli occhi e ignorando la canna puntata contro il suo petto. «Tu lo hai ammazzato, è solo colpa tua

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