Epilogo - Jennifer Orrico

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Una striscia di luce profila l'orizzonte, e le onde scure del mare sciabordano contro la banchina del porto.

Nadia le guarda affascinata, immaginandosi il livello dell'acqua salire e inghiottire tutto quanto: lei, Pat, Ivan, Johnson, il mulino con dentro il laboratorio e Abraham e Margareth mentre si affrontano, occhi negli occhi.

Qualunque cosa fosse accaduta da lì in poi, Nadia se li sarebbe sempre ricordati così, i suoi genitori.

«Andiamo?»

Ivan annuisce. «Da.»

«C'è una rimessa di barche, qua vicino» interviene Pat. «Ne troveremo di sicuro una che può portarci dall'isola lungo la costa olandese, e da lì potremmo dirigerci verso il Belgio o il Regno Unito...»

«O verso la Madre Russia...» ridacchia il ragazzo. «Scherzo...»

Pat fa strada lungo il porto, poi svolta su uno dei moli. Il pavimento di legno attutisce i loro passi stanchi.

Il portone della rimessa è tutto scrostato. Al centro, una piccola finestrella rettangolare con sotto tre spazi da cui spuntano due numeri neri applicati: 4 4. In mezzo lo zero si è staccato e al suo posto ne rimane appena il segno più scuro.

La maniglia del portone è arrugginita, Pat la afferra e le basta tirarla verso l'alto per accorgersi che qualcosa non va.

Il portone è appena accostato.

Nadia coglie al volo l'esitazione della ragazzina, e i suoi occhi ispezionano i paraggi.

L'angolo di un telone azzurro sbuca da sotto il portone.

"Strano" pensa.

Anche Johnson dev'essersene accorto perché ha già in mano una pistola. Muove alcuni passi, deciso e silenzioso.

Nadia aspetta, dietro il ragazzo. Stringe le labbra. Pat preferisce infilarsi tra alcuni barili di olio da motore, rosi dalla ruggine, e taniche di benzina mezze vuote e ingiallite, ammassate alla rinfusa.

Ivan apre il portone infilandoci un piede sotto e facendo forza con la gamba.

Dentro non si vede nulla. Buio.

Si intravedono appena le sagome delle barche.

Johnson sgattaiola all'interno e accende la luce, che si attiva con un ronzio, sfarfallando di continuo. Ivan e Nadia lo seguono, guardandosi intorno con attenzione.

Poi un colpo di tosse, soffocato malamente, li fa sobbalzare tutti.

Proviene da dentro una barca.

È quella il cui telo azzurro di protezione sbucava da sotto il portone.

Qualcuno lo ha rimosso e ci si è nascosto sotto, tirandoselo sulla testa alla meno peggio.

Ivan afferra un palanchino e con quello finisce di scostare il telo di plastica pesante, gettandolo del tutto a terra.

E lo sentono. Un respiro affannoso.

Arriva dalla pancia della barca, quella più vicina al portone.

Nadia stringe gli occhi e scorge macchie di sangue sparse a terra, fa un cenno a Johnson che annuisce e si affaccia con cautela oltre il bordo della barca, tenendo la pistola tesa davanti a sé.

All'improvviso gli scappa una smorfia.

Si avvicinano tutti e vedono un impasto di polvere e sangue scuro, qualche riflesso rosso tra le ciocche.

Martha!

Ha gli occhi spalancati, lucidi di terrore.

Un nuovo colpo di tosse la squassa e un rantolo le spezza il respiro.

«No, non sei stata tu a ridurmi così...» bofonchia fissando Nadia. «Ho beccato una nuova versione del virus... questa merda è già mutata...»

Nadia indietreggia incapace di parlare. Ivan impreca mentre Johnson tiene puntata la pistola su Martha che chiude gli occhi.

«Gli esperimenti che avete condotto finora... sono già superati» dice, la voce flebile. «Il virus va più veloce di tutti noi ed è impossibile prevedere quanto si modifichi... Qualsiasi Cura è temporanea... entro pochi mesi tutto ricomincerà da capo...»

Un'altra scarica di colpi di tosse la zittisce. Alla fine rialza il capo, ha gli occhi cerchiati.

«Il mondo non sarà mai più come prima, forse dovremo vivere distanti, giocare alle prede e i predatori, circondati da precauzioni e procedure...»

«Non puoi saperlo per certo» sibila Johnson, la canna della pistola che luccica.

Ma Nadia ha gli occhi pieni di lacrime e Pat si agita tra i barili puzzolenti.

È così, se lo sente. Martha non ha mentito.

«Non possiamo più partire, Nadezda» sbotta Ivan, voltandosi verso la porta d'uscita. «Dobbiamo trovare Margareth, tornare a fare ricerche... ripartire da zero.»

Perfino Johnson sospira, riponendo la pistola nel fodero.

«Prima dovremmo... Ma dov'è?» la voce di Pat si fa allarmata.

Tutti si voltano di scatto. Martha è sparita.

E mentre i ragazzi la cercano disperati, Nadia esce dalla rimessa delle barche. Le braccia lungo i fianchi. Le gambe pesanti.

Rimane a fissare il suo riflesso nell'acqua verde petrolio, e mentre lo fa una serie veloce di scene le spuntano davanti, come avesse premuto la velocità accelerata a un video. Mei Ling. Dan. Albe. Sua madre. Abraham.

Ma adesso basta. Qualunque mondo sia quello in cui si trova ora, qualunque cosa dovrà fare: Nadia vuole vivere. Che sia o meno utile per una Cura, che esista davvero la possibilità di perfezionarne una. Non le importa.

Lei vivrà.

Una mano gentile si posa sulla sua spalla.

Ivan è dietro di lei, pallido.

Le prende delicatamente una mano.

«Andiamo?» le chiede a bassa voce.

Nadia annuisce asciugandosi le guance con il palmo della mano.

Poco oltre, Pat si avvia verso il mulino a vento, senza fretta. Così tutti i ragazzi la seguono finché diventano una sagoma indistinta nella luce calda dell'alba.

Martha li fissa dal suo nascondiglio.

Poveri sciocchi, vorrebbe urlare ma si morde le labbra e trattiene altri colpi di tosse.

Tutto poteva accadere.

Tutto tranne quello.

Lei non doveva ammalarsi, anzi, proprio non era possibile.

Invece.

Avrebbe voluto fermarli e raccontare la sua verità. Essere un clone si era rivelato difficile, più di quanto si aspettasse. E non perché gli altri credevano che lei fosse la vera Martha, no quella era stata la parte divertente.

Le avevano fatto credere, quelli del Cerchio poi Abraham, che lei fosse più forte. Doveva esserlo, per genetica. Un clone con le correzioni giuste affinché potesse affrontare scontri, imprevisti, privazioni...

Invece si era ammalata.

Come chiunque altro.

Era questo, più di tutto, che ora la lasciava senza forze; non essere chi doveva. Peggio: sapere di essere come gli altri.

Ed era sola.

Strisciò lungo il porto, s'infilò in una barca e attese.

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