Un Problema Ben Più Grave

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La porta scorrevole si aprì lentamente davanti ai miei occhi, rilevando la mia presenza tramite il suo sensore. Davanti ai miei occhi trovai la sala di ricevimento dell'ospedale che ormai conoscevo fin troppo bene. L'ospedale dell'Università della Salute di Fujita non era specializzato in un particolare settore come il Centro Nazionale per Tumori i L'istituto del Cancro, tutti a Tokyo, il che faceva al caso mio, poiché il mio problema non era considerabile neanche una malattia.

Il mio è una conseguenza. Come quando cadi e ti sloghi una caviglia. L'unica differenza è che non si poteva curare con una semplice fasciatura o stecca.

Negli ultimi anni avevo fatto innumerevoli visite, esami, radiografie e avevo cambiato tantissimi medici finché il dottor Washijou, medico pneumologo e insegnante della stessa università, non ha deciso di prendermi sotto la sua ala protettiva. Era abbastanza singolare, allegro, sempre cordiale, e dove gli altri risultavano sempre distaccati perché come avevo imparato a tempo debito "non bisogna affezionarsi ne fare promesse ai pazienti", lui sembrava stare in mezzo a una famiglia ristretta di persone da lui scelte e che in qualsiasi modo aveva intenzione di salvare dai loro problemi.

Il suo sorriso scaldava il cuore, mentre aspettava i risultati degli esami ti portava a fare una passeggiata, ti offriva il caffè parlando della vita, privata del più e del meno, di come andavano i voti a scuola e molto altro. E anche se sembrava che lo facesse apposta per distrarti dalle rogne dell'attesa ci riusciva. Era come parlare con un vecchio amico, un parente che non vedi da tanto che semplicemente fa il medico.

Mi ritenni molto fortunata a essere stata scelta dal vecchio professore per essere tenuta in cura da lui. Effettivamente non so cosa avesse visto in me, ma con il mio cuore speravo non smettesse mai di vederlo perché oltre a essere il migliore nel campo lo consideravo quasi un amico da quanti anni lo conoscevo.

Mi diressi verso l'accettazione seguita dalla mia accompagnatrice e con pazienza iniziai a perseguire quella lunga attesa tipica delle visite in ospedale. Ormai la consideravo come una routine, non era di certo la prima volta, ma fortunatamente avendo fatto diverse conoscenze con i medici per me era facile occupare il tempo in qualche modo. Passò circa un'ora, in cui incontrai due infermieri che mi avevano curato tempo prima, prima di poter effettivamente incontrare la persona per cui avevo fatto richiesta.

Mi alzai dalla sedia sulla quale mi ero accomodata per via del tanto tempo passato in piedi, ed presto l'ansia alla quale ero riuscita a dare quiete in quel'arco di tempo risalì di botto come il mercurio di un termometro messo nell'acqua bollente.

Mia madre mi prese per un braccio cercando in qualche modo di infondere sicurezza con la sua presenza, ma non mi fece un grande effetto poiché la mia attenzione si spostò presto sullo studio in cui ero entrata. Candide pareti bianche facevano sembrare la stanza molto più luminosa di quello che era realmente e in qualche modo rendendola anche più accogliente. In mezzo una scrivania del medesimo colore, di medie dimensioni, ospitava un moderno computer accompagnato da dozzina di carte impilate in due contenitori separati. Sul resto della superficie erano sparse diverse cartelle, alcune chiuse altre aperte, in cui si intravedevano radiografie e fogli compilati.

Il dottor Washijou era seduto dietro la scrivania su una modesta sedia con schienale imbottito, e con la testa mi fece cenno di sedermi in una di quelle che erano di fronte a lui. Mi avviai e con un po' di riluttanza mi sedetti aspettando che iniziasse a parlare.

Alla mia destra, in fondo alla stanza, c'era un lettino con intorno diversi macchinari, molti dei quali avevo già utilizzato. Un rotolo di carta viola aleggiava delicatamente sul materassino, e il colore inusuale mi fece sorridere distogliendomi un attimo dai miei pensieri.

Ma subito spostai lo sguardo nuovamente sul medico, che ora aveva sollevato la testa dalle sue carte appoggiando finalmente la penna sul tavolo e prendendo un profondo respiro. Già solo il modo in cui si comportava mi metteva un'estrema ansia, perché significava che qualcosa non andava.

A Piccoli Passi / Nishinoya YuuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora