6.

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Carestia.

Mi svegliai all'alba la mattina dopo. Il clacson della Harley di David sotto casa. Mi affacciai alla finestra.

"Non ha specificato a che ora essere lá ma credo sia meglio non farla attendere" mi urló a cavallo della sua moto. Una stecca dei Rayban in bocca e le mani a chiudere la zip della giacca di pelle. Gli feci un cenno assonnato con la mano e mi vestii in fretta pettinandomi i capelli in fondo alle scale. Misi le cuffiette nere attaccando la musica sul cellulare e salii sulla moto alle sue spalle. Indossai il casco aggrappandomi alla vita di mio fratello. Partimmo andando alla solita velocitá tipica di un ribelle su una Harley Davidson: 140 km/h.

Dopo un'ora e mezza eravamo arrivati a destinazione. Smontammo dalla moto. Odiavo quel posto. Nel profondo. Un vecchio aereoporto abbandonato e fatiscente. Con due sole piste depresse, erbacce e asfalto secco. Solo un anno fa non era cosí. O forse si. Noi di certo eravamo diversi. Potevamo rendere uno posto bellissimo e terrificante allo stesso momento se opportunamente stimolati.

"Non ho nemmeno fatto colazione." brontolai.

Pestilenza rise porgendomi un cornetto ancora incartato e un cappuccino comprati prima di partire. Mi sedetti sulla moto a mangiare mentre il primo sole lasciava le lunghe ombre sul terreno arido esaltando le lentiggini sui nostri volti pallidi.

Noi non avevamo poteri su questa terra. Eravamo vulnerabili ed esposti come dei nervi. Potevamo solo influenzare gli uomini ma erano comunque loro che facevano tutto da soli. Noi producevamo solo energia. Negativa. Cosí vivevamo come persone normali. Solo Morte non poteva. Non poteva avvicinare nessuno oltre noi. Una volta ne soffriva molto ma ora...

Il suo arrivo interruppe i miei pensieri. David prese una delle mie cuffiette e si mise a canticchiare sedendosi accanto a me sulla moto. Era l'unico modo per chiudere la mente e non farle leggere i nostri pensieri. Io mi appoggiai alla sua spalla ridendo per quanto fosse stonato e non sapesse le parole della canzone. Il mio sguardo si posó su Morte. Mi veniva da urlarle: tu non potrai mai provare tutto questo, Ana! L'amore di un fratello, di un amico. Ti sei dimentica tutto quello che eravamo prima noi due?!

Pestilenza mi diede una gomitata vedendomi pensierosa. Mi fischiettó in un orecchio la melodia della nuova canzone in esecuzione. Io cercai di tappargli la bocca o buttarlo giú dalla sella della moto ridendo. Il rombo di un motore ci evitó di ruzzolare entrambi nella polvere. L'auto sportiva di Guerra frenó accanto a noi. Morte gli fece un cenno sparendo di nuovo mentre il satellitare dei mezzi impostava la destinazione.

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