Capitolo 18 - Liebestod*

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 Alice indietreggiò alle spalle di Arthur nello scorgere il bagliore della lama tra le mani della suora.

"Arthur!" gridò lei, l'uomo fece a malapena in tempo a togliersi dalla traiettoria del fendente, ma Amélie stava già portando un secondo attacco e, anziché scappare, Arthur si gettò su di lei agganciandosi alla sua cintura.

"Oh, detective. Hai lasciato la schiena scoperta" il sorriso della suora si fece feroce nell'assaporare il momento in cui la lama del suo coltello affondò nella schiena dell'uomo.

Un gemito riempì l'aria, Arthur barcollò, si contorse in preda al dolore e allo shock ma non lasciò la presa. Di nuovo, Amélie estrasse il coltello e, con un sorriso privo di umorismo, lo pugnalò ancora e ancora.

Ignorando l'inquietante scricchiolio di ossa e di carne lacerata, Alice provò con tutte le forze a muoversi, a fare qualcosa, ad accorrere in aiuto, ma il suo corpo rifiutava di collaborare.

Devo fare qualcosa! Datti una mossa! Muoviti! Urlava mentalmente a se stessa, sentendo gli occhi bruciare.

Il sangue di Arthur si addensava nell'aria ogni volta che la donna estraeva il coltello dalla sua schiena. Trattenendo un conato di vomito, Alice si forzò a guardare avanti.

"...Alice! Stai indietro-!" ringhiò in un ansito Arthur, gettando qualcosa in direzione della ragazza che atterrò sul pavimento con un suono metallico. Alice impiegò qualche istante a riprendere lucidità e a capire di cosa si trattava: erano le chiavi di Amélie, e una di esse doveva aprire la cella.

"Stavi cercando le mie chiavi-?!" ignorando Amélie, Arthur si voltò verso Alice.

"Porta i bambini al sicuro! PRESTO!!"

La giovane impallidì nel vedere tutto quel sangue e il dolore scolpito nei lineamenti di Arthur, poi scattò verso il mazzo di chiavi, barcollando.

"V-va bene!" replicò con voce rauca, mentre con mani tremanti prese le chiavi da terra e iniziò a provare quale di quelle avrebbe aperto la cella.

Avanti! Avanti! AVANTI!

Tirò un sospiro di sollievo nel sentire la serratura scattare.

"Bambini!" nonostante dentro di sé Alice fosse un disastro, riuscì, in un qualche modo, a far si che la sua voce risultasse calma e rassicurante "Stiamo per andarcene. Ho bisogno che tutti voi vi stringiate a me, okay? Potete farlo per me?"

I bambini annuirono e, avvicinandosi, nei loro occhi Alice scorse delle ombre, il ricordo del dolore e del tradimento. Doveva portarli al più presto via da lì, poi sarebbe tornata da Arthur. Non poteva sopportare il pensiero di abbandonarlo, ma se si fosse intestardita a voler proteggere tutti, avrebbe rischiato di perdere ogni cosa.

"...Okay, andiamo" e assicurandosi di avere in vista tutti i bambini, Alice si diresse verso le scale che conducevano allo sgabuzzino dell'orfanotrofio.

Quando anche l'ultimo bambino raggiunse le scale, Alice li seguì oltre la soglia e, proprio allora, la mano di Amélie scattò in alto afferrando il braccio della ragazza.

"Torna indietro con la mia proprietà!"

Il tono minaccioso della suora, la stretta, le cui dita affondavano nel braccio di Alice, la fecero rabbrividire.

"Loro non sono la proprietà di nessuno!" ruggì la ragazza, tentando di liberarsi dalla morsa di Amélie, che era più alta e più forte di lei. Nella lotta, Alice piroettò su se stessa e crollò sulle scale di cemento grezzo graffiandosi una gamba. Dietro di lei, i bambini si erano stretti insieme accovacciandosi in un angolo.

Uno Studio in Rosso - Arthur Conan DoyleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora