Capitolo 2: "Di Chitarre E Sguardi"

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Appoggiato al muro di fronte a lui c'era un ragazzo più piccolo di lui, con una zazzera di capelli castani scombinati e una giacca azzurra.

Nonostante l'aspetto un po' tamarro, non poté fare a meno di pensare che fosse davvero carino.

Ricambiò il saluto un po' in imbarazzo.
«Mi posso sedere?» chiese poi. Il moro rispose con un cenno della testa.

Dopo essersi seduto, Filippo fece per accendersi la sigaretta, ma si rese conto di essere osservato intensamente dal ragazzo seduto di fronte a lui.
«Vuoi una sigaretta?» chiese, cercando di capire il motivo di quello sguardo così intenso che gli bruciava la pelle.

«No, no scusa. È solo che... Mica t'ho già visto da qualche parte io?»
«Può essere... Mia sorella viene al Kennedy, può darsi che tu la conosca. Si chiama Eleonora.»

Il viso del moro si illuminò alla menzione della ragazza.
«Ma certo! Tu sei Filo, l'amico di Martino. Sono Elia comunque, ci siamo conosciuti a Natale.»

All'improvviso, Filippo si ricordò del ragazzo, riconoscendo in lui l'amico di Martino. Lo aveva effettivamente conosciuto alla tombolata, ora che ci pensava meglio. E ripensandoci, ricordava di averlo trovato carino già al tempo.

«Oddio scusa non t'avevo riconosciuto. Mi ricordo di te, eri quello che la gufava a Giovanni quando è andato a provarci con la bionda.»
«Sì, ero io. Ma che ci fai tu qui, da solo, durante una festa?»
«Sinceramente non lo so nemmeno io. M'hanno convinto Ele e le altre, ma poi m'hanno accannato. Tu invece? Perché non sei con i tuoi amici?»
«Beh, Giovanni ce sta a provà con Eva da tutta la sera, Martino e Niccolò fanno i polipetti come sempre e Luchino non so dove cazzo sia. In più sono completamente fuori, ho bevuto non so quante birre. Stavo cercando di ripigliarmi.»

Dopo che il moro ebbe finito di parlare, tra i due cadde un silenzio imbarazzato.

Dopo quelli che al biondo sembrarono anni, Elia si alzò dal pavimento e si diresse verso il casotto degli attrezzi poco distante.

«Che cazzo stai a fa'?» chiese Filippo curioso.
«Questa è casa d'un amico mio. Veniamo spesso qui a fumare.» rispose il moro ridendo. Era evidente il suo stato di ubriachezza, tanto che Filippo si preoccupò riguardo alle sue intenzioni.

«E che vuoi fare? Rubargli la bici?» ribatté ironico, anche se in realtà temeva fosse davvero quella l'idea.
«No. Stavo cercando... Questa!» esultò il più piccolo, uscendo dal casotto con in mano una chitarra.

«Vuoi fare la serenata a qualche donzella?» Il biondo si sorprese a sperare che non fosse così.

La risposta alla sua domanda, però non arrivò. Elia si sedette semplicemente di fronte a lui, imbracciando la chitarra.

Filippo era confuso. Non capiva cosa l'altro ragazzo stesse cercando di fare.
Sapeva, da quello che gli aveva detto Martino, che Elia era imprevedibile. Se già quando era sobrio ci si poteva aspettare di tutto da lui, era terrorizzato all'idea di cosa avrebbe potuto combinare in quello stato.

Già se lo immaginava mentre distruggeva la chitarra contro il muro, oppure mentre ballava in mutande sopra un tavolo, o ancora mentre rincorreva qualche ragazza usando lo strumento come clava.

Invece Elia non fece nulla di tutto questo.
Fece qualcosa di ancora più spiazzante.

Si mise a cantare.

Aveva una voce dolce e struggente allo stesso tempo. Era molto intonato per essere completamente ubriaco, constatò Filippo meravigliato.

E ti ricordi com'è che si fa
La vita mescolata insieme e poi divisa di nuovo a metà
Mentre corriamo in queste stanze
'Sta casa è così grande
Ma che lavoro fa, wow, il tuo papà

Ora che ti guardo bene//ElippoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora