Capitolo 17-Harry

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PREMESSA: la battuta che farà Leo a un certo punto non l'ho inventata io, ma lo youtuber migliore del mondo , A.K.A. "Il trono del muori", andatelo a vedere perché fa crepare dalle risate.

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Odiavo i serpenti fosforescenti, e anche le falci con crisi epilettiche.

Già odiavo i serpenti di mio, per ovvie ragioni; se poi ci si aggiungeva una falce sbrilluccicante che mandava risate simili a rantoli di un cane con un attacco di epilessia, era da suicidarsi.

Fu il primo vero incubo dopo mesi.
Camminavo nel cimitero dove Voldemort era risorto, al quarto anno... dove Cedric Diggory era stato assassinato.
Era buio, e la nebbia era fitta. Cadeva sulle lapidi come una maledizione, rendendo l'aria pesante e i miei passi insicuri. Persino in sogno, potei percepire l'aura di morte che aleggiava in quel posto.
Incerto, avanzai. Statue marmoree sbucavano dalla nebbia: angeli in pietra con espressioni di puro dolore scolpite in viso, altri con in braccio bambini le cui anime erano state prese troppo presto, altri ancora si stagliavano maestosi come a sfidare la morte.
L'erba era appassita. Voci conciate e indistinte provenivano da ogni parte. Una risata acuta e aspra squarciò il silenzio, seguita grido di terrore.

Non mi accorsi dei mostri finché uno di essi non mi passò attraverso. Grazie al cielo, era solo un sogno, e non mi vide.

Un altro grido perforò la notte. Col cuore in gola ne seguii l'eco, fino ad arrivare in un luogo a me dolorosamente familiare: era lo stesso identico posto dove Codaliascia aveva fatto rinascere Voldemort.
Adesso, però, non c'erano più solo Mangiamorte: ad aggirarsi per le tombe c'erano anche dracene, empuse, strani esseri simili a un incrocio tra foche e cani, persino due o tre ciclopi dei più piccoli.
Uno di essi teneva in spalla quello che, ad una prima occhiata, mi sembrò un sacco afflosciato. L'orrore mi invase non appena mi resi conto che non si trattava affatto di un sacco, ma di un cadavere. Non potevo vederlo bene, ma riuscii a distinguere la scia di sangue che insozzava gli stracci che coprivano il ciclope, proveniente dritta dal cadavere. Mi costrinsi a distogliere lo sguardo, e continuai ad avanzare. Attorno a me si muovevano mostri e Mangiamorte, chi in silenzio, chi gridando, chi ridendo sguaiatamente.
Dopo un tempo che mi sembrò infinito, giunsi davanti alla vecchia casa dove Voldemort aveva ucciso il guardiano, anni prima. Due empuse facevano la guardia, e decine di strani volatili, che grazie alle lezioni di Annabeth riconobbi come uccelli di Stinfalo, volteggiavano gracchianti sopra di essa, mentre i loro artigli di bronzo emanavano cupi bagliori.

Prima ancora che potessi decidere di tornare indietro, venni risucchiato all'interno della casa.

Quando tornai a vederci, mi trovavo in una specie di salottino. Il camino era spento, ma la stanza puzzava di fumo. L'ambiente era spoglio; la polvere ricopriva tutto come un mantello, le ragnatele si allungavano su muri, pavimento e angoli come dita spettrali. In fondo alla stanza stava qualcosa di simile a un grosso cesto di vimini sformato. Su un largo tavolo in legno, mangiato dalle tarme, era posata una lunga falce dall'impugnatura in oro e la lama in bronzo.
Notai lo schienale di una grossa poltrona, strappato e sporco. Non potevo vedere chi vi fosse seduto.
Due Mangiamorte incappucciati erano inginocchiati dietro la poltrona, il capo chino.

-Il Mangiamorte catturato è ancora ad Azkaban, mio signore - mormorò uno dei due - È stato preso dopo l'ultimo attacco alla scuola.

-Ha parlato? - gracchiò dalla poltrona una voce rauca.

-No, mio signore - rispose l'altro Mangiamorte - Non ha parlato.

-Bene... molto bene - fece la voce - Ma ditemi... chi era?

-Era Rookwood, mio signore - rispose uno.

Rookwood...

Ricordai lo sguardo di puro disgusto della professoressa McGonagall quando aveva visto il volto sotto la maschera.

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