39. Perdonami.

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Ma perché sono sempre così sfigata? Perché combino sempre guai? Perché non riesco a fare le cose per bene?

E per quale motivo mi sto ingozzando come un maiale?

Oddio questo lo so, quando sono triste tendo a divorare ogni cosa.

Mi asciugo le labbra sporche di maionese  con un fazzoletto di carta, concentrandomi nuovamente sul mio adorato computer, che mi implora di concentrami.

Perdonami ma non riesco a smettere di pensare ad Andrea.

Cerco di mettere da parte il mio panino, leggendo il file, ma le parole di Andrea continuano a ripetersi nella mia mente.

Tanto che smetto nuovamente di lavorare, e ricomincio ad ingozzarmi.

Non voglio che vada via.

Perché ho detto la verità? Avrei potuto nascondere questa notizia.

Il suono del cellulare, mi riporta bruscamente alla realtà, mi affretto a rispondere quando leggo il nome di Brian.

Doveva parlarmi.

<<Pronto?>> inizio a mangiucchiare l'unghia del pollice, nervosa per quello che mi potrà dire.

<<Devo dirti una cosa. Puoi ascoltarmi?>> il tono serio con cui me lo chiede mi fa intuire che è importante.

Andrea sicuramente si tratta  di lui ne sono sicura.

<<Si>> sibilo, alzandomi di colpo dalla sedia, improvvisamente scomoda.

<<Bene. Perdona Andrea, non ha colpe di quello che è successo. Quando vi siete messi insieme lui era il tuo professore.>> spalanco gli occhi, sorpresa da questa rivelazione, comprendendo solo adesso il vero motivo per cui è rimasto in silenzio.

Allora non scherzava.

<<Omar invece era realmente pazzo, adesso si trova rinchiuso in un ospedale psichiatrico>> mi siedo nuovamente, quando mi rendo conto che le forze mi stanno abbandonando.

<<È lui la causa di tutto. Andrea avrà pure sbagliato ma avuto le sue motivazione>> aggiunge, mi limito ad annuire, asciugando con il dorso della mano le lacrime che sono scese.

Con chi sono stata per tutti questi anni?
Perché mi ha rovinato la vita?

<<Grazie Brian, ti devo molto>> sibilo, cercando di recuperare la calma che ho perso, anche se le parole di Andrea rimbombano nella mia mente più forte di prima.

<<Devo andare>> aggiungo, riattaccando poco dopo, uscendo dall'azienda in fretta e furia, quando mi rendo conto che devo assolutamente chiedere perdono ad Andrea.

Inizio a correre come una matta, imprecando ogni qualvolta che rimango  bloccata davanti ad un semaforo.

Caccio un sospiro di sollievo quando raggiungo il ristorante di Andrea sana e salva.

Ho esagerato a correre come una matta, però non riesco a togliermi dalla testa le parole che ha pronunciato.

Se ne andrà.

La cosa brutta è che non ho la più pallida idea di quando andrà via, potrebbe aver già fatto i bagagli.

Quindi non ho tempo da perdere devo subito cercarlo e parlare con lui, chiarirmi e chiedergli perdono, perché fino ad ora mi sono comportata come una stupida.

Le lacrime scivolano, quando penso a lui, che ha dovuto rinunciare alla sua paternità, a causa di un uomo instabile.

Scivolano ancora quando ripenso al modo in cui l'ho trattato. Gli stavo per impedire di conoscere suo figlio, di crescerlo.

In un secondo mi ritrovo a piangere come una bambina, il senso di colpa mi sta già uccidendo.

Cerco di darmi una regolata quando mi ritrovo davanti all'ingresso del suo locale, mi affretto ad entrare, bloccando il primo cameriere che passa davanti a me.

<<Dov'è Andrea, il vostro titolare?>> chiedo alzando il tono della voce più del previsto stringendo il polso del cameriere.

<<Lei chi è?>> l'uomo dai capelli biondi mi osserva un po' confuso.

<<La sua compagna>> ribatto, asciugando le lacrime che sono scese.

<<È uscito, ha detto allo staff che oggi partirà>> ammette, allento subito la presa uscendo dal locale, non appena mi rendo conto che mi manca l'ossigeno.

L'ho perso.

Per la mia stupidità ho perso l'uomo che amo.

Mi affretto a raggiungere l'auto per andare a casa, con la speranza di trovarlo lì. Anche se dentro di me, so già che non lo troverò.

Però voglio provarci.

Non posso arrendermi.

Metto in moto, correndo come una pazza, ignorando le offese dei passanti, che per poco stavo mettendo sotto.

Andrea non partire.

Ho bisogno di te.

Parcheggio subito l'auto, scendendo giù, non appena mi ritrovo davanti al cancello del palazzo in cui vivo.

Inizio a correre, ignorando la stanchezza, non appena raggiungo la porta d'ingresso, caccio un sospiro, pronta a ricevere l'ennesima bastonata.

Entro dentro casa, ispezionandola come una pazza, cercando Andrea come una disperata che ha bisogno di un po' di luce, per tornare a sorridere. Incontro Joshua, seduto sul divano, che non appena incrocia i miei occhi si alza preoccupato.

<<Sara, tutto bene?>> scuoto la testa, accasciandomi sul pavimento freddo, scoppiando il lacrime.

<<Hai visto Andrea>> sibilo, mordendo il labbro inferiore per trattenere i singhiozzi.

<<Mi dispiace è andato via un ora fa'>> afferma, avvicinandosi lentamente a me, sedendosi sul pavimento.

<<Mi dispiace>> si limita a dire, stringendomi tra le sue braccia.

<<È partito?>> domando, con la speranza di ottenere un no dal mio coinquilino, che sospira,  guardandomi con dispiacere, come se temesse di dirmi la verità.

<<Si, è partito>>

Ah è partito.

L'ho perso.

Non ho fatto in tempo.

Sono arrivata troppo tardi.

Ciao ragazze perdonatemi per il finale, ma è uscito questo.
Domani o oggi scriverò l'epilogo.
Ditemi cosa ne pensate. Sono curiosa di conoscere il vostro pensiero.

Per chi non avesse ancora letto "il detenuto" lo trovate nel mio profilo, ho già scritto il primo capitolo ❤️

Il mio coinquilino è uno stronzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora