Sogni ricorrenti di due ragazzi deficienti.

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Sogni ricorrenti di due ragazzi deficienti.
Due ragazzi in letti nettamente differenti stavano facendo lo stesso sogno. Li tormentava da più o meno due anni e mezzo e non riuscivano a fare nulla se non facce disgustate appena si svegliavano.
In un giardino che tutti e due speravano d'aver dimenticato si trovavano due bambini. Alice e Giorgio. Alice aveva i capelli rossi raccolti in due trecce. Giorgio le s'avvicinò. "Ma sei Pippi Calzelunghe?"
Alice si imbronciò. "No. Sono Alice."
"Del Paese delle Meraviglie?" Le chiese Giorgio.
Alice si strinse nelle spalle e lo guardò male. "No." Disse in un sussurro. "Sono Alice Belfiore." Gonfiò le guance. Quel bambino, per lei, era molto antipatico.
Giorgio le sorrise. "Io sono Giorgio." Le rispose. "Ciao Belfiorellino!" Si allontanò da lei che intanto lo rincorreva con la voce: "È Belfiore! Non Belfiorellino!".
Quello era stato il loro primo incontro, alle elementari. Si conoscevano da un sacco di tempo.
Avevano passato quei cinque anni di scuola primaria a prendersi in giro, a farsi le linguacce.
Si ritrovarono insieme al Tre, un istituto tecnico economico di quel piccolo paese, tanti anni dopo.
Non si chiamava realmente Tre, i ragazzi si divertivano solo a dar un nome alle cose. Dato che c'erano solo tre istituti superiori, li nominarono Uno, Due e Tre. L'Uno era il liceo classico, il Due lo scientifico e il Tre era ragioneria.
Quando si ritrovarono in classe insieme non potevano credere ai propri occhi.
Giorgio riconobbe subito Alice. Quei capelli rossi e quegli occhi castani erano cose che rimanevano impresse. Alice lo riconobbe solo perché, nella prima ricreazione del loro primo primo giorno di scuola superiore, Giorgio si era avvicinato a lei e le aveva detto: "Ciao Belfiorellino."
Alice si svegliò sempre con quell'espressione scocciata. Si diresse in bagno e si guardò allo specchio. I capelli rossi erano scompigliati e il trucco della sera precedente era colato durante il sonno. Agli angoli degli occhi c'erano delle leggere croste. Fece una smorfia e si lavò il viso togliendo tutto il trucco. Stava dalla sua amica Beatrice da una settimana e non volendo abusare della sua ospitalità ancora per molto decise che quel pomeriggio si sarebbe recata ad un indirizzo che non si ricordava. La spese erano da dividere e a lei andava bene così. Aveva contattato il padrone di casa la sera precedente che con voce pimpante le aveva detto che poteva passare quando voleva. Non aveva chiesto informazioni sul ragazzo o sulla ragazza con cui avrebbe dovuto condividere le spese e poco le importava.
Si legò i capelli in una coda e si mise il deodorante per poi vestirsi velocemente. Si mise una felpa, un paio di jeans e le sue Converse consumate. "Bea, io vado a Roma." Annunciò appena arrivata in cucina.
"E perché?" Beatrice stava mangiando dei cereali ed era ancora in pigiama.
"Ho chiamato un tipo ieri, condivide le spese e mi è comodo per l'università. Sono stufa di svegliarmi alle cinque del mattino." Disse Alice per poi sbadigliare.
Bea la guardò un po' stranita. "Non sei truccata." Le fece notare.
Erano due ragazze strane quelle due. "Ora vado a truccarmi." Disse la ragazza dai capelli rossi.
Si guardarono un po' negli occhi. Entrambi li avevano marroni. Si scrutarono in cerca di un qualcosa che anche a loro sfuggiva. "Mi devi dire qualcosa, Bea?" Chiese Alice osservandola. Guardò i capelli biondi dell'amica con un sopracciglio alzato.
Beatrice si alzò. "Non ti devo dire proprio un cazzo. Ora levati dalle palle, su. Vai a Roma." Disse acida.
Alice alzò gli occhi al cielo per poi andarsi a truccare. "Se poi mi trasferisco ti faccio sapere."
Bea le fece il verso. "Levati dai coglioni e basta!" Disse per poi sbattere la porta della sua stanza.
Alice sbatté un paio di volte le palpebre. Beatrice solitamente era gentile e mai scontrosa. O almeno non lo era con lei. Capì che c'era qualcosa che non andava e che Bea le avrebbe parlato quando si sarebbe sentita pronta.
Uscì di casa con solo il telefono in tasca e percorse quelle strade che avevano segnato la sua infanzia, come quelle di tutti coloro che abitavano lì.
Prese tre autobus per arrivare a Roma, e poi ne prese altri due per arrivare a destinazione.
Appena scesa guardò il numero civico e poi spalancò gli occhi per l'imponenza del palazzo. "Cazzo." Bisbigliò.
Salì fino ad arrivare al terzo piano, si diresse verso la seconda porta sulla destra. Fissò per un attimo il campanello. Aggrottò le sopracciglia. "Maffei" scritto in modo elegante. Il cognome le era familiare. Scosse la testa e bussò.
Un ragazzo della sua età le aprì la porta per poi guardarla perplesso. "Posso aiutarti?" Chiese aggrottando le sopracciglia bionde.
Alice lo guardò negli occhi. Quel verde smeraldo le era troppo familiare. "Sono qui per l'affitto da condividere." Disse piano.
"Oh," il ragazzo le sorrise. "entra pure. C'è un po' di casino, t'avverto." Si spostò dalla porta e la fece entrare.
Quel sorriso, quegli occhi, quei capelli scompigliati. Ad Alice quel ragazzo le era sempre più familiare.
Anche per il ragazzo era così. I capelli rossi, gli occhi castani.. Quella voce fioca e imbarazzata.
Il biondo strabuzzò gli occhi chiudendo la porta. Guardò la figura d'Alice passeggiare tranquillamente per l'appartamento e si disse che non era possibile. "Belfiore?" Chiese titubante.
Alice si girò verso di lui. La bocca era leggermente aperta. "Tu!" Dissero all'unisono.

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