Bea

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"Che Cristo dici." Quando si conoscono delle persone da una vita è impossibile pensare certe cose. Quando si passa con una persona la maggior parte del tempo, quando una persona t'ha cresciuto, è impossibile pensare queste cose. "Raffaella non sarebbe in grado di fare male ad una mosca."
Alice rise, una risata orribile. Non era sua, non apparteneva a lei né a nessun altro. "Mia madre è in grado di fare un sacco di cose, Giorgio."
Un brivido salì lungo la schiena del ragazzo. "Chi ha ammazzato?" Chiese titubante. Non voleva saperlo. La sua idea se l'era fatta e non gli piaceva per niente.
L'asfalto scorreva lentamente sotto le ruote della macchina, Alice aveva lo sguardo puntato fuori dal finestrino e non osservava nulla. Cercava di cogliere qualche particolare, di riuscire a fermare quelle figure che scorrevano velocemente fuori dalla macchina. Voleva concentrarsi su altro, perché di pensare a quel giorno non ne aveva voglia. Un piccolo flash si impossessò della sua mente per alcuni minuti ed Alice chiuse gli occhi per l'impatto. Perché quando i ricordi sono brutti fanno male, perché era come diceva Giorgio: dal passato non si scappa perché già t'ha preso.
"Ali.." Giorgio le scosse un po' la gamba.
"Non voglio risponderti." Disse secca.
Il ragazzo sospirò. Un silenzio spigoloso cadde nell'abitacolo dell'auto. Alice andò a sbatterci contro quando, accanto a loro, passò una macchina della Polizia. Le sirene erano accese e la ragazza si immobilizzò. Era tesa, ritta sul suo posto. Si era scostata un po', aveva affondato le unghie nel sedile, aveva spinto con forza la schiena contro di esso. "Alice, sei pallida. Tutto bene?" La richiamò Giorgio. Alice sentiva ancora le sirene in lontananza. Sudava freddo come quella mattina. Era agitata come quel giorno in casa sua, come se le stessero portando via sua madre di nuovo. "Alice!" La riprese nuovamente Giorgio.
"Non si scappa dal passato, quindi?" La voce le tremava.
"No, Ali, non si scappa dal passato." La guardò per un secondo, per poi accostare. Spense la macchina e si girò verso di lei. "Si può sapere che cazzo ti è preso?" Le disse volendo sembrare duro. La sua voce, però, era dolce.
"Le sirene." Giorgio aggrottò le sopracciglia. "Quelle della Polizia.." Aggiunse come se quell'informazione cambiasse tutto.
"Alice, non ti seguo. Vieni qua, su. Non stare schiacciata contro lo sportello." Mise la sua mano su quella di lei, mosse gentilmente le dita fra le sue facendole mollare la presa ferrea sul sedile. "No, niente, tranquillo." Disse Alice. Tolse la mano da quella di Giorgio e si rilassò un po' mettendosi meglio sul sedile. Il ragazzo ci rinunciò e mise in moto.
Per tutto il tragitto rimase in silenzio e Alice sobbalzava ogni qualvolta sentisse le sirene della Polizia o dei Carabinieri. Non provarono a fare conversazione perché non ne sentivano il bisogno.
L'aria di Tevi si sentiva lontano cinque chilometri. Si faceva pesante, umida. Si sentiva la puzza di merda. Non perché ce ne fosse ma perché le persone che ci abitavano lo erano. Alice si era addormentata durante il tragitto ma appena sentì l'aria così familiare si svegliò. Giorgio non le disse "Siamo quasi arrivati" perché sapeva che l'aria di Tevi si sentiva, appesantiva il petto.
Il ragazzo spense il motore e tolse le chiavi dal nottolino. Scesero in contemporanea dalla macchina e si guardarono un po' in torno. "Odio questo posto." Borbottò Alice.
"Non fare la melodrammatica, su. È pur sempre parte della nostra infanzia."
Alice gli lanciò un'occhiata che Giorgio non riuscì a capire. "Odio anche la nostra infanzia."
"Puffo Brontolone." Le sorrise per poi strizzargli una guancia.
"Ringrazia al cielo che do i pugni con la destra, sennò eri già per terra agonizzante." Bofonchiò la ragazza entrando a passo svelto in quella palazzina che doveva essere ristrutturata da vent'anni.
Giorgio si muoveva a passo lento, osservava le strade, l'asfalto. Guardò con un sorriso sbilenco il palazzo di Bea. Quante volte c'era passato da ragazzino per infastidire le due. Gli sembrava tutto così lontano.
Appena dentro il portone si potevano vedere varie macchie d'umidità e come in alcuni punti si stesse staccando l'intonaco. Il biondo camminava con una lentezza disarmante, sempre con quel dannato sorriso sul volto. Era convinto di poter fottere il mondo ma non sapeva che era il mondo ad aver il coltello dalla parte del manico.
"Capisci fottutamente, adesso?!" Sentì la voce di Beatrice straziarsi in un urlo e accorse verso le due ragazze.
"Bea, sono a casa." Disse Alice appena entrò nella casa dell'amica.
Non ricevendo risposta si mosse velocemente per le stanze, per poi trovarla raggomitolata in un angolo del bagno a piangere. "Ali, Alice.." Sussurrava.
"Che cazzo hai?" Sbottò la rossa prendendo l'amica per un braccio e tirandola su, per poi stringerla a sé.
"Sono nella merda, ecco cos'ho!" Urlò Beatrice scostandosi dall'amica.
E fu solo allora che Alice si guardò in torno scorgendo varie scatole sparse per il pavimento. "Che cazzo è successo?" Lo disse in un sussurro. Aveva paura della risposta. Si chinò e prese una scatola facendo cadere il contenuto per terra. Un test di gravidanza. Lo strinse fra le dita, se lo rigirò curiosa e lesse il retro della scatola. Una striscia positivo, due strisce negativo. Il bagno era tappezzato di test di gravidanza.
Fece saettare gli occhi qua e là. "Merda." Bisbigliò. Guardò il test che aveva fra le mani: una striscia, e poi guardò il resto. Tutti uguali.
Fermò il suo sguardo sulla sua amica che stava ancora piangendo. "Capisci fottutamente, adesso?!"
Si sentirono dei passi e poi la voce di Giorgio. "Alice! Bea!"
Beatrice la implorò con lo sguardo. "Ti prego, Ali, non gli dire niente."
"Cosa fai? Lo tieni?" Le chiese. E poi ancora: "Chi è il padre?"
Beatrice sospirò mentre altre lacrime le scorrevano sul viso. "Ali, non ne ho idea." Alice non sapeva a quale domanda si riferisse la bionda e non sapeva quale le faceva più paura.

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