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10 dicembre 2019

Atterrati a Roma.
Nessuno dei due ha parlato di ciò che è successo. Nessuno dei due ha parlato. Siamo stati l'esempio meglio riuscito di ciò che si definisce incomunicabilità e ciò che è più brutto è che a me questa incomunicabilità fa più male di ciò che è successo ieri.
Ieri.
Ieri.
Quelle parole "brindo a ciò che sto per fare adesso che è la cosa che desidero fare da una vita" mi hanno fatto capire che forse ciò che pensavo che fosse la sua amicizia per lui è qualcosa di molto di più, qualcosa che va oltre ciò che siamo l'uno per l'altra, o forse ciò che credevo eravamo. Non so se la cosa mi renda felice o triste. So solo che devo rifletterci e indubbiamente non voglio farlo con Lino.

Ed eccola lì, Antonella. Eccola quella per cui mi sento più in colpa. Forse lei nei miei panni non mi penserebbe neanche per un secondo ma io sono diversa. Lei non può essere l'ultimo dei miei pensieri, neanche dopo che le sue labbra si poggiano su Quelle labbra che ieri per qualche minuto sono state le mie di labbra. Le labbra del mio migliore amico. Ma che diavolo gli è saltato in mente.
"Allora ragazzi, come è andata?! Divertiti?"
"Certo" rispondiamo insieme con un sorriso tirato.
"Vi lascio soli" dico "vado in bagno"
Voglio stare sola. In bagno mi lascio andare ad un sonoro sbuffo. Ho avuto la sensazione di restare sola per tutto il viaggio, in realtà. Ma questo è un altro discorso.
Anche il viaggio del ritorno è silenzioso, di un silenzio che viene riempito solo da Antonella che cerca di recuperare i giorni di distanza dal suo compagno. Ed è mentre lei parla che decido di anticipare il mio ritorno a casa. Voglio allontanarmi. Devo allontanarmi.
Prenoto e lo annuncio
"Lino scusa se ti interrompo" dico mentre stava parlando con Antonella di qualcosa che a me appare futile "ho fatto il biglietto, torno domattina"
"Vai tranquilla. Ti ci accompagno io alla stazione?"
"No tranquillo, passa del tempo con Anto! Ne avete bisogno! Prenderò un taxi"
"Ma come? Già parti?" Mi chiede Antonella
"Si,mia nonna sta poco bene, ho bisogno di tornare a casa" dico, inventandomi una bugia.

Siamo a casa, evito la cena con la scusa che sto poco bene e che il viaggio in aereo mi ha scombussolato lo stomaco. Sono in stanza e li sento ridere. Ridere. Di gusto. E non so se le risate mi fanno innervosire perché sono gelosa della loro complicità o nostalgica di quella complicità che era nostra fino a due giorni fa.
L'ho respinto. Ieri l'ho respinto. Con la poca forza e lucidità che mi restava, l'ho spinto via. Dopo di che mi son messa sotto le coperte e mi son girata di spalle a quello che era il suo letto. Non avevo voglia di parlarne come non ne ho voglia ora. Non avevo voglia di pensarci come non voglio pensarci ora. Voglio andare a casa e mentre ripenso a tutto ciò che è successo sento il cuscino bagnarsi delle mie lacrime. Le uniche volte che abbiamo parlato sono state solo quando mi ha svegliata dopo che la sveglia era suonata due volte stamattina, non sapendo che la stavo semplicemente ignorando e solo quando era strettamente necessario.
Sono esausta. Nessuno portà però distruggermi i bei ricordi di questi giorni. Qualcuno mi ridarà il mio migliore amico, un giorno. O almeno è quello che spero.
Mentre penso a tutto ciò qualcuno bussa alla porta di quella che per stanotte sarà la mia stanza. Bussa una, bussa due volte e dopo aver bussato la terza volta sento qualcuno, con una voce che riconoscerei tra mille dire "Anna? Sei sveglia? Possiamo parlare?" Poi, non ricevendo risposta dice "vabbè buonanotte. Io ci sarò sempre. Nonostante tutto. Buonanotte"
Tra i singhiozzi, che spero siano silenziosi, esausta mi addormento.

11 dicembre 2019
Dovevamo essere insieme e felici,a passare i nostri ultimi giorni insieme. Invece eccomi qui, mentre Lino e Antonella dormono, davanti alla porta d'ingresso di questa casa alla Garbatella in cui ci sono i numerosi premi di Lino e due, tre foto che ci ritraggono insieme. In particolare noto qualcosa che l'ultima volta che sono stata qua non ho notato: una cornice in cui sono inserite due foto, una in cui ci siamo io e Lino e una in cui Lino è con Antonella. "Le mie donne" c'è scritto sotto.
Piango.
Piango a dirotto tutte le lacrime che erano rimaste da ieri sera.
È in quel momento che mi viene un'idea. O meglio, mi ricordo di un'idea che avevo avuto a Budapest e allora frugo nel mio zaino e ritrovo la foto scattata dalla ragazzina a cui avevo dato Fin troppi fiorini e una calamita. Vado in cucina e, dopo aver preso un pennarello dalla scrivania, sulla fascia bianca sotto la foto, tipica delle polaroid scrivo "Grazie. Nonostante tutto".
Giro la foto e lascio un messaggio a Lino che spero leggerà. "Ci sarà un momento in cui tornerà a splendere il sole, per ora rispetta le mie nuvole. Ti voglio sempre bene, Anna". La foto va a finire direttamente sullo sportello del frigorifero sostenuta dalla calamita scelta insieme.
Con le lacrime agli occhi, chiudo dietro di me la porta d'ingresso.
Il viaggio procede con una tristezza infinita. Non ho voglia di tornare a casa mia e sorbirmi tutte le domande di mia madre sul come mai sono tornata prima. Non saprei che rispondere. È per questo che chiamo Ivana per chiederle ospitalità per tre giorni con la raccomandazione che le racconterò tutto e che mia madre non dovrà sapere nulla. Riattacco dopo averle comunicato l'ora d'arrivo. Verrà a prendermi lei.
A metà viaggio ricevo un messaggio. Lino.

So già che non gli scriverò, non ne ho voglia

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So già che non gli scriverò, non ne ho voglia. Insomma io sono così, quando succede qualcosa che non so spiegare neanche io, mi chiudo a riccio. Di solito è proprio Lino ad aiutarmi. Questa volta è diverso ed è per questo che mi sento così moralmente distrutta. Chiederò a Ivana di mandargli un messaggio per tranquillizzarlo.
Sapevo che avrebbe letto il messaggio sul retro della foto, siamo sempre stati abituati a scrivere il nostro stato d'animo ricollegato al momento in cui ce ne scattavamo una. È un gioco che facciamo sin da quando eravamo piccoli.
Con la tristezza d'animo e gli occhi gonfi di pianto arrivo a Barletta e fuori dal treno c'è Ivana ad aspettarmi, la mia ventata d'ossigeno dopo aver trattenuto il fiato troppo a lungo.

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