Capitolo 2 (Revisionato)

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Era davanti la porta dell'ufficio del professor Ackerman ed era in ritardo di due minuti.

Se lo aveva inquadrato bene, gliel'avrebbe fatta scontare con gli interessi, così si affrettò a bussare. Una voce dall'interno le rispose: "Avanti".

Il cuore iniziò a palpitarle nel petto in modo irregolare, ma si decise velocemente ad aprire la porta.

L'uomo era seduto alla sua scrivania, piena di fogli, ma tutti perfettamente sistemati e senza un granello di polvere.

Lui era di una bellezza disarmante. Le sue mani erano così curate e la pelle sembrava così delicata che appariva quasi irreale. Il volto era serio e lo sguardo era rivolto verso il pacchetto di fogli che teneva tra le mani. Non la guardò nemmeno: "Chiuda la porta e si metta seduta, è in ritardo"

"M-mi scusi..."

"No, non la scuserò, ma ormai è qui. Comunque sappia che le costerà dei punti nella sua prima valutazione".

Dopo aver chiuso la porta alle sue spalle, la ragazza si mise seduta di fronte a lui. Finalmente il professore alzò i suoi piccoli occhi grigi, che sembravano quasi riprendere il colore delle nuvole scure prima di una tempesta, e li incollò in quelli grandi e verdi di lei.

Levi rimase in silenzio per qualche secondo, cercando di memorizzare ogni piccolo dettaglio della ragazza davanti a lui. Quegli occhi erano di una profondità esorbitante e i capelli rossi le incorniciavano un viso dai lineamenti delicati. Le labbra erano rosee e le guance forse di una tonalità leggermente più scura. Notò che era arrossita e anche un po' contratta: era evidentemente nervosa. Forse aveva addirittura paura, ma nel suo sguardo trasparivano ammirazione, entusiasmo e un pizzico di eccitazione.

Decise di iniziare a parlare, ma prima si sfilò gli occhiali e li poggiò con apparente noncuranza sulla scrivania: "Signorina Talbott, ammetto che sono rimasto stupito dal suo lavoro. Il migliore che abbia letto quest'anno. Non si illuda: non è perfetto, anzi, ma ha del potenziale. Sappia che la metterò sotto pressione più degli altri. Pretenderò il massimo da lei e non si aspetti un trattamento di favore".

Amelia non sapeva se prenderlo per un complimento o una minaccia e non sapeva nemmeno come rispondere. L'unica cosa che le riuscì di dire era: "Certo professore, mi impegnerò al massimo".

La sola certezza in quel momento era che il suo cuore aveva troppa fretta e il suo stomaco aveva un tornado in corso.

"Bene. Ora veniamo a noi. Mi parli un po' di lei. Perché è voluta entrare nel mio corso?"

"Beh perché sei il mio scrittore preferito e ora che ti vedo da vicino penso che tu sia l'uomo più affascinante che abbia mai visto. Con quell'aria da "Io sono io e voi non siete un cazzo" vorrei saltarti addosso e fare sesso sfrenato sulla tua scrivania immacolata" fu la prima risposta che pensò nella sua testa.

"Perché ho sempre amato scrivere, vorrei diventare una scrittrice e volevo imparare dal migliore" decise di rispondere in maniera più adatta e sincera.

"Si ricorda cosa ho detto in aula questa mattina, signorina?"

La guardò con freddezza l'uomo.

Lei si sentì momentaneamente interdetta: non capiva a cosa si riferisse tra tutto quello di cui aveva parlato.

Lui vedendola perplessa proseguì: "La ruffianeria con me non funziona ed è controproducente". Abbassò lo sguardo sui fogli e si rimise gli occhiali sul naso.

La ragazza si affrettò a rispondere: "Sì, lo ricordo perfettamente, ma rimane comunque quello che penso".

Levi alzò lo sguardo e lo fissò su di lei: notava sincerità trasparire dal quel verde sottobosco. Gli saltò un battito, poi disse: "Ne riparleremo tra qualche mese...".

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