21. Fai al caos mio

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Era di un'altra epoca Stefano.

Sbarcato sulla terra con un bagaglio di sentimenti sinceri ma inadeguati per la modernità che lo circondava.
Inadeguato da sempre.
Debole, incapace, solo i soldi della famiglia gli avevano dato notorietà ai tempi del liceo.
Nessuno aveva preso in considerazione la sua musica, il modo eccelso con cui suonava la chitarra, i suoi ottimi voti a scuola.
I genitori erano sempre stati impegnati a gestire il loro successo piuttosto che occuparsi di far risplendere quello del figlio, anche con una semplice complimento.
Un consiglio, approvazione.
Stefano era cresciuto da solo alla ricerca del suo futuro, prendendo a morsi la vita in una silenziosa e innocua ribellione verso se stesso.
Evitava i social perché non amava mostrare il suo fisico in foto, rendere riconoscibile il suo volto, pubbliche le sue conoscenze.
Voleva essere invisibile Stefano, talvolta voleva scomparire.
Ed è in questo desiderio di buio che una che con l'oscurità ci andava a braccetto, le aveva teso la mano.

Aveva infilato una catenina da pochi euro nella sua valigia.
Una collana con un ciondolo con una nota musicale.
Più si sforzava di farlo, più si arrendeva all'idea che la musica faceva parte della sua vita, seppur la evitasse come la peste.
Lasciò Stefano in maniera serena, senza violenti addi, senza lacrime amare.
Tante promesse, tante raccomandazioni.
Alyssa si fece avanti dicendogli che qualunque direzione avrebbe preso la loro vita, avrebbe presentato Stefano al padre. Meritava di essere ringraziato per tutto l'aiuto che aveva dato a lei e al fratello in un periodo di totale difficoltà.
Quella decisione sembró alleviare il distacco, ne conservava un bel ricordo che in quel momento però decise di accantonare.
Anche se al suo collo brillava un gioiello nuovo, la sua testa doveva concentrarsi su ciò che avrebbe raccontato a Niccolò, a come avrebbe reagito al suo ritorno senza preavviso, alle condizioni in cui lo avrebbe trovato.
Certo, aver conosciuto Stefano rendeva tutto più difficile.
E quel suo costante pensiero verso di lei alimentato da squilli al suo cellulare le rendevano impossibile non soffermarsi a pensare a quanto fosse differente.
Vecchio stampo, pieno di valori di cui lei voleva nutrirsi.
Delicato. Un ticchettio impercettibile ma incessante.

Era meglio fingersi sorda, piuttosto che cedere a quel richiamo, simile alla voce armoniosa di una sirena.
Alyssa si guardava intorno, era passata di fretta nella casa che divideva con Nic, l'aveva trovata vuota, colma di disordine, come se qualcuno avesse esploso una bomba e poi fosse fuggito.
Aveva gettato la valigia in un'angolo, messaggiato la madre di Nic e trovato il suo nuovo indirizzo, chiamato una sua amica per un passaggio, nell'attesa di recuperare la sua Smart.

Parlò poco, diede la colpa al fastidio della mascherina, all'essere intristita per la realtà con cui si trovava davanti.
Le sembrava di osservare una Roma surreale, ancora più spettrale di come l'aveva immaginata.
Il palazzo in cui Niccolò sì era trasferito per trascorrere in solitudine la quarantena era angusto, situato in un quartiere in cui scarseggiavano servizi e igiene, un po' abbandonato a se stesso dalle istituzioni, in quel periodo ancora di più.
Era tutto estremizzato, ogni cosa mostrava il suo lato peggiore.
Anche la luce del sole sembrava essere offuscata da una nuvola antipatica con cui stava lottando dall'intera mattina, senza avere la meglio.

Suonò al citofono in cui si leggeva il suo vero cognome, in un modo che conoscevano solo loro e infatti dopo qualche istante il portone sì aprí senza che Nic rispondesse.

Dall'aspetto di Alyssa sembrava come se si stesse dirigendo verso qualche struttura ospedaliera, indossava persino i guanti, aveva lasciato le scarpe fuori dall'uscio dell'ingresso leggermente aperto, vi entrò.

Non sapeva come muoversi nell'abitazione così inizió a chiamare Niccolò e udendo la sua voce sempre più vicina, si mosse timidamente verso la sua direzione.
La casa era in condizioni approssimative, non era un'ambiente capace di ispirare allegria, rendere il soggiorno piacevole e attivo .
Non era per niente vivace, né i colori delle pareti, nemmeno i mobili, antiquati e posizionati a casaccio. Era sicuramente una dimora per anziani, prima che lui decidesse di abitarci.
Tutta questa analisi di Alyssa durò qualche istante, ma le bastó per capire che non voleva trascorrere chissà quanto tempo tra quelle mura.
Rivolse così la sua attenzione a Niccolò, che aveva dopo mesi di fronte a lei, lo fissò , appurando auanto fosse cambiato.
Trasandato.
I suoi capelli non erano mai stati così lunghi. Lo sguardo spento con occhiaie visibili, la barba incolta, gli indumenti sgualciti.
Aveva abbandonato ogni sorta di cura verso se stesso e l'ambiente che lo circondava.
Tutto puzzava di fumo, di cibo in scatola, di notti insonni, sogni infranti.
Nuvole di polvere intrise di malcontento, birre svuotate insieme al cuore.
Finestre chiuse, interruttori spenti insieme ai sentimenti.

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