VIII

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Dimitri Alexander Ivanov, Villa Salvatore, New York.

"Andrej Kirill."

La mia fottuta voce risuonò in una delle stanze degli ospiti della fottuta villa dei Salvatore. Ad essere onesti, non vedevo l'ora di sposare Maria per potermene tornare nella nostra, chilometri lontano da quell'insieme di muri asettici. Questa villa metteva i brividi e dire che i russi glaciali eravamo noi, non i Salvatore.

"Kirill."

Mio fratello aveva deciso di essere una rottura di palle per quasi tutta la durata della propria vita, ma questa mattina stava rasentando il ridicolo e prima che l'alleanza tra i Tagliagole e la Drakta finisse in un bagno di sangue, dovevo ricordare ad Andrej il proprio posto. E tale non era nelle fottute mutande bagnate di un'italiana.

"Dimitri." Con un sorrisetto Andrej si appoggiò allo stipite di legno. "Qualcosa non va? Sei teso?"

"Ti avevo detto di non disobbedirmi, Andrej."
La mia voce fu un sussurro glaciale e solo il nostro legame di sangue riuscì a salvare il coglione da una morta lenta e dolorosa. "Cazzo, Andrej, se avessi rovinato una delle nipoti di Salvatore, sai cosa sarebbe potuto succedere?"

Mi avvicinai a lui, talmente tanto, che solo un dito separava la mia fronte dalla sua.

"Divertimento?"

Cazzo.
Mio fratello Andrej era davvero un bastardo incasinato.

"Non fare il coglione, Andrej." Lo agguantai per la collottola e lo spinsi contro la parete di legno. "Questo fottuto matrimonio è la chiave per infilarci nei pantaloni dei Tagliagole."
Aumentai la presa intorno al suo collo in avvertimento, ma il bastardo si aprì in un sorriso vittorioso. "Sai cosa succederebbe se Chicago decidesse di attaccare e Nino sapesse quello che avresti voluto fare?"

"Magari opterebbero per far fuori prima i Tagliagole." Mi spinse. "Chi può dirlo?"

Non eravamo molto differenti di stazza e altezza, ma non riuscì a smuovermi di un centimetro; sbuffai dalle narici di fronte al suo patetico tentativo e gli diedi un ennesimo strattone.

"Magari, ma sono italiani e noi russi, testa di cazzo. Per giunta, siamo arrivati dopo e certo, con dei cazzo di kalashnikov, ma comunque dopo e non vorrei mai che diventassimo il pasto per tutti gli italiani confinati in America. Piz-dets*, Andrej, cerca di pensare con la testa e non solo con quello che hai tra le gambe." Assottigliai lo sguardo. "Sei un coglione fortunato, perché se non fossi stato io a camminare in quel corridoio, ma nostro padre, saresti già con il culo per terra." Mi avvicinai ancora di più. "Cherez krov' i kosti, chest' i slava," recitai in russo, sollevando l'avambraccio in cui vi era il tatuaggio che ogni soldato, sottocapo, consigliere e sicario doveva avere per essere considerato membro della Drakta. "Attraverso il sangue e le ossa, l'onore e la gloria. Devo ricordartelo io, Andrej?"

Mio fratello si diede un tono e i suoi occhi azzurri si scurirono per l'affronto.

"So bene a chi e dove deve essere riposta la mia lealtà ed il mio onore." Si battè il pugno sull'avambraccio. "Non ho più sedici anni."

"Bene." Annuii con il capo e lo lasciai andare. "Vedi di non fare troppo il coglione oggi."

E poi sorrisi alla versione più giovane e irascibile di me.

"Bastardo." Andrej sgusciò lontano con un ghigno. "Stronzo."

Ero temibile, oscuro, crudele e brutale: un'ombra appostata agli angoli delle strade pronta a strapparti la vita con calma glaciale, ma Andrej, Andrej era un killer psicopatico, un cacciatore della peggior specie, che adorava circuire le proprie prede e godeva nel vederle soffrire. Dopo l'uscita di scena di mio fratello, la porta della stanza si spalancò di nuovo e il viso zeppo di silicone di Polina fece capolino da quest'ultima. Con un ghigno, se la chiuse alle spalle e mi mangiò con gli occhi, centimetro dopo centimetro.

"Dimitri," rollò il mio nome sulla lingua come se si trattasse di un cibo prelibato, ma finsi indifferenza e terminai di allacciarmi la camicia bianca, che continuò ad aderire perfettamente alla mia muscolatura, conquistata con anni di allenamento.

"Non saluti la tua sorellina?" Ancheggiando in maniera esagerata si avvicinò e si leccò le labbra. "Un'ultima volta?"

"No." Non la degnai di uno sguardo e continuai nel mio lavoro meticoloso. "Polina, non dovresti essere qui." Aggiunsi quando notai la direzione del suo sguardo, ma la donna non si fece scoraggiare. "Te l'ho già ripetuto prima del mio fidanzamento."

"La tua sorellina non può farti gli auguri per un matrimonio felice?" Mugulò, abbassandosi sulle ginocchia e armeggiando con la mia cintura. "L'ultima volta?"

"Oh, sì." Mantenni salda la mia maschera inespressiva per la quale ero diventato famoso. "Puoi." Inizialmente, optai per lasciar fare a Polina ciò per cui fosse entrata: un bel lavoretto non avrebbe fatto altro che mettermi di buon umore, ma poi con prepotenza l'immagine di Maria in tuta grigia e capelli raccolti mi riportò alla realtà. "Peccato tu sia venuta con l'intento di fare la puttana." Mi spostai di lato, lasciandola di stucco e con le mani in aria. "Come hai potuto insultare la mia futura moglie alla prova dell'abito?" La guardai dall'alto in basso e da come i suoi occhi si dilatarono, percepii la succulenta paura strisciarle intorno alle gambe. "Alzati." Le ordinai con la voce che riservavo ai miei sottoposti e lei obbedì, anche se con uno sprazzo di risentimento e rabbia a deturparle i lineamenti. "Trovati un altro idiota con cui soddisfare le tue voglie." Feci un passo verso di lei e la inchiodai. "Non osare intralciare la strada di Maria. Tu non fai parte della sem'ya*, non osare credere di poter disporre di un trattamento diverso da quello delle puttane nei club."

Alle undici, Nino Salvatore mi riempì un bicchiere di scotch e dovetti racimolare tutto l'autocontrollo che possedevo, per non scaraventarlo contro la scrivania del suo studio e prenderlo a pugni, a causa dei lividi che aveva lasciato sulla pelle immacolata e candida di Maria.

"Tra un'ora sanciremo il nostro accordo," miagolò e quasi lo potei vedere strusciarsi ai piedi di mio padre, che annuì solenne. "Un accordo fruttuoso."

"È esatto, alleanza utile la nostra."

Ivanov senior, uomo più freddo del ghiaccio, ingollò in un soffio lo scotch.

Captai l'espressione irata mal nascosta di Andrej e lo redarguii con un'occhiataccia; per riuscire a spodestare nostro padre lo dovevamo uccidere e per ucciderlo, non dovevamo commettere nessun passo falso, o lui avrebbe posto fine alle nostre vite senza un briciolo di colpa. Andrej annuì rapidamente e ingoiò il proprio scotch, continuando la conversazione con il nostro Enforcer.

"Dimitri, sono sicuro che mia figlia questa notte saprà come accontentarti." L'espressione di Nino Salvatore si stracciò con eloquenza. "Le ho rifilato una delle nostre puttane per insegnarle in che modo compiacerti."

La mia presa si strinse intorno al bicchiere di vetro e faticai a mantenere saldo il ghigno predatorio.

"Preferisco le donne docili, se sai cosa intendo." Ingoiai un sorso amaro di scotch e sorrisi feroce. "Arrendevoli, sottomesse."

E Nino Salvatore scoppiò a ridere, dandomi una pacca sulla spalla.

"Dimitri, farai molta strada."

Presto o tardi, avrei posto la parole fine anche alla vita di quell'uomo, mi dissi.

Mi sistemai la giacca nera, in piedi alla fine della navata, costruita nel giardino posteriore della villa e mi allungai verso Andrej. Con un cenno del capo gli indicai un soldato vicino all'albero, nell'angolo ad ovest.

"Tieni d'occhio Boris, non mi fido."

Andrej annuì e riferì l'ordine al soldato in prima fila, che sparì tra la folla. Non ci volle molto prima che tutti gli invitati si accomodarono e la marcia nuziale suonò imperiosa, decretando l'inizio della cerimonia.

———
*Piz-dets: dannazione.

*sem'ya: famiglia.

Promessa |THE NY RUSSIAN MAFIA #1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora