33-Quanto le mancava

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La porta spalancata mette in mostra il viso di mio padre, già spaventato di suo ma che alla vista di sua figlia china sul divano di casa e con le lacrime agli occhi, diventa ancor più agitato.

"Papà" dico con la voce nel pieno del pianto.

"Emma" sorride amaramente vedendomi in contro. Io sto letteralmente passando le pene dell'inferno dati gli infiniti dolori che continuano a opprimenti in tutti i modi possibili e immaginabili, eppure sembra rimanere calmo.

"Io sto male e tu ridi?! Ti senti bene per caso?!" annuncio ancora con voce isterica data la tranquillità con la quale sta riuscendo a prendere la situazione.

"Mi ricordi tua madre quando sei nata tu" scuote la testa come per scacciare quel ricordo e quindi delle eventuali immagini ben precise associate a quel momento.

"Ora però fa qualcosa!" richiamo la sua attenzione stringendo i denti all'ennesima contrazione.

"Vieni qui, piano" si avvicina lentamente a me ed io faccio esattamente ciò che mi dice, sempre nei limiti del possibile. Neanche me ne accorgo e mi ritrovo tra le braccia di mio padre che mi ha presa a modi sposa. Sta uscendo e solo adesso noto che la macchina è già aperta pronta ad ospitarmi nei sedili posteriori.

Mi posa all'interno dell'auto e subito si mette alla guida, diretto verso l'ospedale. I minuti sembrano passare come giorni, se non mesi, tant'è che per la decima volta mi ritrovo a supplicare mio padre di fare veloce.

"Quanto manca?" trattengo il respiro dopo aver pronunciato queste parole. Non credo di aver mai provato un dolore simile in vita mia e onestamente credo che mai lo proverò.

"Siamo in viaggio da quindici minuti, ancora un attimo e siamo lì" cerca di consolarmi.

"Ora però non pensarci"

"E come cazzo faccio?!" quasi non urlo.

"Parlami, non ci vediamo da un po' avrai qualcosa da raccontarmi"

"Papà non mi sembra il momento" continuo a cercare di regolarizzare il mio battito e i miei respiri ridotti in affanni ma nessun tentativo sembra voler andare a buon fine.

"Hai avvisato Niccolò? Non era in casa prima" mi ricorda.

"Niccolò, cristo" impreco a voce decisamente troppo alta, ma lui sembra non farci nemmeno tanto caso.

"Devo chiamarlo?" domanda premuroso.

"No!" esclamo d'istinto, pentendomene subito dopo.

"Cioè si" per la prima volta nelle ultime due ore riesco ad utilizzare un tono di voce lievemente ridotto, quasi normale azzarderei.

"Però no" riformulo nuovamente una risposta e suppongo che agli occhi di mio padre io possa sembrare veramente una pazza psicopatica. D'altronde chi non avviserebbe il proprio ragazzo del fatto che suo figlio sta per venire alla luce? Il problema è proprio quello che papà ancora non sa assolutamente nulla di ciò che è accaduto negli ultimi mesi, non avendo mantenuto particolari contatti né con me né con lui.

"Si o no?"

"Non lo so pà, possiamo cambiare argomento?" chiedo spazientita, anche se già so che lui nonostante le mie due negazioni, non si farà problemi ad avvisarlo al posto mio.

"Non ce n'è bisogno, siamo arrivati" finalmente lo sento pronunciare queste parole mentre io, con ancora io fiato irregolare, osservo la grande entrata dell'ospedale.

***

Mattia Moriconi
30 gennaio, ore 20.38

Così c'era scritto sul cartellino giallo a forma di pulcino che Emma stava osservando da delle ore ormai. A dire la verità però, diede poca importanza a quel pezzo di carta colorata, bensì continuava ad ammirare la bellezza della creatura che stava nella culla posta sotto questo cartellino. Prima del parto non aveva mai provato un dolore del genere, qualcosa di indescrivibile a parole sicuramente, ma era anche certa del fatto che tutto quel male era sparito all'istante nell'attimo esatto in cui aveva preso per la prima volta tra le braccia quel piccolo corpicino, che le sembrava e ancora adesso le sembra talmente tanto fragile da non poterlo sfiorare nemmeno con un dito. Quando al terzo mese di gravidanza venne a sapere che avrebbe messo al mondo un maschietto, già sapeva che l'avrebbe chiamato in quel modo. Sorrideva a pensarci, il sesto senso tanto nominato da Niccolò aveva in qualche strana maniera un fondo di verità e perciò non gli avrebbe mai negato questo suo desiderio.
Poi a dirla tutta quel nome piaceva tanto anche ad Emma perciò non c'era tanto da pensarci sopra.
Si era sentita nominare una decina di volte se non di più, eppure niente adesso sarebbe mai riuscito a distoglierle lo sguardo da suo figlio, che piano piano si stava svegliando.
L'infermiera si affrettò a prenderlo in braccio prima che questo iniziasse a piangere ma era ormai troppo tardi. Le urla di Mattia risuonavano tra le mura della sala ed Emma poté dedurre che anche solo sentire il suo pianto le riscontrava delle emozioni uniche dalla punta dei capelli sino a quelle dei piedi.

"Vuoi prenderlo in braccio?" le chiese gentilmente risvegliando la ragazza dallo stato di trans in cui era entrata.

Annuì debolmente, quasi spaventata, ed era forse così che stava veramente. La paura di potergli fare del male con un solo gesto brusco era alle stelle eppure la voglia di tenerlo di nuovo tra le braccia era mille volte più grande.

"Ehi ciao" sussurrò quasi intimorita.

Con delicatezza riuscì finalmente a riprenderlo e, neanche a farlo apposta, appena qualche secondo dopo che quel bimbo fu tornato tra le braccia della sua mamma, smise di piangere. Appena aprì quei due occhioni grandi che si ritrovava cominciò ad osservare la donna che lo stava tenendo tra le braccia e inutile dirlo, Emma perse un battito.

La somiglianza che quel bimbo aveva con Niccolò era a dir poco impressionante. Oltre ad avere tantissimi capelli scuri in testa, quel bimbo aveva anche le sue stesse identiche labbra a cuoricino e il suo stesso nasino perfetto. Gli occhi poi, avevano la stessa forma e lo stesso colore, a tratti le sembrava di avere addosso lo sguardo del suo ragazzo anziché quello di suo figlio.
E quanto le mancava anche quel solo gesto.
Le si formò un sorriso a trentadue denti mentre una lacrima involontaria scese sul suo viso.

"Si può?" la voce fin troppo familiare di Desi risuonò nelle sue orecchie e subito si voltò in direzione della porta.

"Si, certo" sorrise poi lasciando entrare lei che però era accompagnata da Gabriele, Vanessa, Adriano e suo padre Roberto.

"Ma ciao piccolino" subito Desirè si avvicinò al bambino che, ancora spaesato osservava uno ad uno tutti i presenti.

"Come stai?" le chiese Vanessa premurosa.

"Ora bene" fece spallucce tornando con gli occhi sulla creatura che aveva tra le braccia. Stava bene si, ma si vedeva lontano un miglio che le mancava palesemente un pezzo fondamentale del puzzle, che dentro di sè sperava vivamente di vedere entrare assieme a tutti loro dalla porta, ma che purtroppo non arrivò.

"Adri" richiamò il suo amico, che già aveva intuito tutto ciò che gli stava per chiedere.

"Non era nelle condizioni, ha detto..." sussurrò a malapena, tralasciando ogni dettaglio che adesso avrebbe soltanto rovinato il momento.
Sempre se già non l'aveva fatto.

SPAZIO AUTRICE
Sono sparita, lo so, ma ho la connessione per praticamente dieci minuti a giornata perché non prende più un cassio qui dove sono io. Detto questo, spero di riuscire a riprendere il ritmo nonostante tutto...
Ciau ciau♡

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