1. Deku

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Se dovessi dare un colore ad ogni persona che ho incontrato dovrei avere parecchie sfumature a disposizione e penso che dovrei comunque crearne di nuove, ma comunque tutti avrebbero il loro colore.
O almeno quasi tutti.
Non riuscirei a darne uno a Bakugo, credo. Ce ne vorrebbero troppi e alla fine verrebbe fuori un nero pece. Per questo non ha nessuno colore, il nero è l'annullamento del colore, la morte della loro gioia.

La storia di come scoprii di sbagliarmi comincia al liceo.

"Deku, tu che diavolo vi fai qui?" La voce, o meglio, l'urlo di Kacchan mi arrivò alle orecchie come un proiettile e prima che potessi accorgermene il biondo fu su di me scaricando tutto il suo peso sul braccio appoggiato alla mia testa.
"K-Kacchan, ahi" mi lamentai suscitando un suo schiocco di lingua sui denti.
"Tsk, Deku, smettila di frignare e rispondi: che ci fai tu qui?"
"Vado a scuola Kacchan" risposi cercando di divincolarmi fallendo miseramente.
"Se sapevo che prendevano anche le mezze calzette non mi iscrivevo" commentò acido. Sbuffai leggermente e cominciai a camminare verso la mia classe.
Fui poco sollevato nel scoprire che avremmo condiviso anche quel piccolo spazio per otto ore al giorno.
"Dietro di me Deku" mi ordinò. Eravamo sempre stati in quella posizione in banco, sin dalle elementari: lui davanti, io dietro. Non mi dava fastidio, era il mio posto. Dietro di lui mi sentivo protetto, sollevato da ogni responsabilità. Ma allo stesso tempo detestavo quella sensazione, mi sentivo un vile codardo.
Avevo provato più volte ad essere come lui, ad essergli amico, ad essere un suo pari, ma era come tirare una palla contro il muro: per quanto ci provassi, tutto il mio impegno rimbalzava e investiva le mie speranze.
Kacchan aveva ragione quando diceva che ero un fallimento.
"Deku..." disse girandosi verso di me sorridendo minaccioso e beffardo.
Ascoltai la sua pioggia di insulti reprimendo la voglia di tirargli un pugno, ma non potevo farci molto, era il mio destino di essere inferiore ed inutile.
La campanella suonò e la prima ora passò lenta, mi parve una settimana di quelle pesanti ed infinite.
Passai la maggior parte del tempo a fissare la schiena di Kacchan e a chiedermi cosa potessi provare a fare per essergli pari.
"Smettila di fissarmi" si voltò a sussurrarmi in un momento morto della lezione. Le sue parole mi scossero da una specie di sogno ad occhi aperti: "S-scusa Kacchan"
"E smettila di chiamarmi 'Kacchan', è fastidioso, idiota." Annuii, ma non avevo intenzione di smettere con quel nomignolo finché lui avesse continuato col mio.

Aspettai con ansia il suono della fine dell'ora e fui il primo ad alzarmi per dirigermi nella classe di biologia.
"Deku, dietro di me" ordinò Bakugo mentre camminavamo col resto della classe verso il laboratorio. Obbedii inerme.
"È il tuo vero nome Deku?" chiese una ragazza alle mie spalle facendomi sobbalzare.
"Eh...? C-cosa... oh... beh... no."
I sui grandi occhi marroni continuarono a squadrarmi interrogativi.
"M-mi chiamo Izuku" mi presentai.
"Ochako, piacere" disse solare porgendomi la mano sorridendo. La strinsi brevemente e continuammo a camminare insieme al resto della classe.
La mia mente vagava nei suoi meandri sconosciuti mentre Ochako mi parlottava accanto.
Non prestai attenzione e lasciai che il mio cervello proiettasse l'immagine di un me che rideva con Kacchan e che camminava al suo fianco.
Sospirai, forse stroppo forte, perché Ochako smise di parlarmi e mi afferrò la manica della divisa: "Tutto okay?"
"S-sì..." mentii e lei lo capì.
"Ti va di sederci vicini a lezione?"
Accettai ed entrammo in classe.
Cercai di schivare lo sguardo adirato di Kacchan mentre mi sedevo nella fila davanti alla sua insieme ad Ochako.
Ridacchiammo durante quasi tutta la lezione e questo diede parecchio fastidio al professore, così ci beccammo una mole di lavoro enorme in più degli altri.

"Non mi divertivo così da un po'"confessai mentre mangiavamo.
In mensa Bakugo la stava facendo da padrone dando spettacolo della sua prepotenza, così io e Ochako, che aveva capito che tra me e il biondo non correva buon sangue, ci eravamo rifugiati sul tetto del liceo.
Lei mi sorrise e tornò a giocherellare con il riso.
La imitai e sospirai leggermente.
"Sospiri parecchio per essere felice, sai?" notò lei senza staccare lo sguardo dalla ciotola mezza vuota.
"C-cosa?"
"Chi vorresti qui al mio posto?"
Era disarmante il modo in cui sembrava leggerti nel pensiero.
"Che vuoi dire?"
"Voglio dire che ti stai divertendo, ma vorresti che qui ci fosse qualcun altro, non è così?"
"I-io... non..." era vero, ora che mi ci faceva pensare, ma non sapevo con chi avrei voluto essere.
O meglio, cercavo di negarlo a me stesso, ma Kacchan lì seduto accanto a me al posto di Ochako mi avrebbe fatto felice. Felice in un modo disgustoso, ma felice.
Lasciammo cadere il discorso e la giornata passò più in fretta di quanto volessi credere; conobbi altri compagni oltre ad Ochako e feci amicizia quasi con tutti.
Stessa cosa fu per Kacchan, credo. Era circondato da diversi ragazzi e ragazze, ma non sembrava dargli troppo retta.
Ci eravamo ignorati per tutto il giorno dopo l'occhiataccia in aula di biologia. Non capivo perché mi importasse tanto o perché mi rendesse triste, così cercai di scrollare il pensiero dalla mente e feci il tragitto fino alla stazione con i miei nuovi amici.

"Sono a casa" urlai mentre mi toglievo le scarpe in ingresso.
Il silenzio più austero mi travolse. Mi diressi in cucina e trovai un biglietto attaccato al frigo; lo staccai e lessi: 'Sono partita per lavoro Izuku, dovrei tornare entro una settimana. Se hai bisogno di qualcosa puoi chiedere a Mitsuki. Ti voglio bene, mamma.'
Posai il foglio sul tavolo e il mio sguardo si soffermò sul calamita che lo reggeva al frigo.
Aveva una foto di me e Kacchan da piccoli stampata sopra.
Come al solito stavamo litigando, ma si poteva notare un accenno di sorriso sul volto di Kacchan che lo illuminava rendendo il suo viso fiero e bello.
Mi stupii di trovarmi a pensare una cosa del genere e salii in camera per distrarmi.
Lanciai la giacca sulla sedia della scrivania e mi buttai sul letto.

Si da il caso che casa mia e quella di Kacchan siano vicine, motivo per il quale, anche se avessi voluto, non sarei riuscito ad ignorare l'esistenza di Bakugo.
Senza che me ne accorsi mi ritrovai ad ascoltare la musica guardando se dalla finestra di camera mia riuscivo a vedere la camera di Kacchan.

Avevo cercato per anni di stabilire un qualche rapporto di amicizia, ma era sempre stato tutto inutile: ero inferiore a lui in ogni cosa e la mia sola esistenza lo faceva imbestialire.
I miei pensieri furono interrotti dal suono del campanello.
Abbassai il volume e corsi giù ad aprire.

Non credo di essere mai stato più felice di vedere un fattorino della pizza come quel giorno.
Gli diedi in mano qualche banconota stropicciata e corsi di nuovo in camera con il mio cartone colorato che emanava un'odore di salsa calda.
Non avrei dovuto mangiare sul letto, ma mia madre non c'era, ero da solo e non avevo voglia di deprimermi in cucina come un cane abbandonato.
Poggiai il cartone sul piumone e accesi la tv.
La serata passò lenta e mi addormentai con la testa nel cartone.
Passai la maggior parte della serata a pensare a Kacchan. Da quando me l'ero ritrovato in classe e quindi ero stato costretto ad interagire con lui qualcosa era cambiato in me e faceva paura. Faceva paura il fatto che pure di stare con lui mi sarei lasciato insultare fino alla nausea; faceva paura il fatto che pur di incontrare il suo sguardo mi sarei lasciato fulminare da quegli occhi color lava all'infinito; mi faceva paura il nome del sentimento che provavo per Kacchan.
O che per lo meno pensavo di provare.
Ma non ero ancora abbastanza, né per lui né per nessun altro.
"Kacchan, perché?" sussurrai alla parete mentre chiudevo gli occhi.

~ 𝐖𝐨𝐮𝐧𝐝𝐞𝐝 𝐡𝐞𝐚𝐫𝐭~ [bakudeku]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora