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Aveva finalmente detto basta.
Gli stati uniti erano stati casa sua per molto tempo, ma sentiva sempre che parte di lei era fissa in Giappone. La sua famiglia era là, i suoi amici erano là, la sua vita sarebbe sempre stata là.
Era stanca. Stanca di fare viaggi in aereo solo per vedere la sua famiglia. Stanca di continuare un lavoro che le impediva la maggior parte delle relazioni.
Voleva cambiare. Voleva aria nuova, aria di casa.

Prese il telefono con decisione e digitó il numero che tanto l'aveva tormentata.
Era sicura di fare la cosa giusta, ma l'idea di trovare lui in Giappone la sconfortava.
Eppure erano passati così tanti anni che sembrava stupido persino a lei. Nascondersi da un uomo che ormai non era più niente nella sua vita. Era il momento di passare oltre.

Sentì una voce rispondere dall'altro lato del telefono, così prese un grosso respiro prima di parlare.
-Pronto, preside Nezu? Accetto la sua offerta.
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Ed eccola lì. Lei, un paio di valigie e la sua cagnolina.
Come era riuscita a gestire un cane con il suo lavoro e i suoi continui spostamento nemmeno lei lo sapeva. Lo ricollegava alla semplice fortuna.
Diede una spinta al carrello che aveva utilizzato per i bagagli e si diresse verso l'uscita dove poteva già vedere i suoi genitori.
Erano decisamente più felici di lei. Le lacrime agli occhi, i sorrisi larghi e genuini, le braccia che la stringevano forte contro di loro.
Avevano di nuovo la loro figlia maggiore, anche se non sarebbe propriamente stata a casa con loro.

Si era ritrovata sul sedile della macchina in poco tempo e ancora non riusciva a realizzare che aveva lasciato l'agenzia al suo sottoposto ed era tornata a casa, dalla sua famiglia.
Sospirò e si sistemò meglio sul sedile, un piccolo sorriso sulle labbra.
"Sono a casa" era l'unica cosa che le veniva in mente. Non si era preoccupata delle persone che avrebbe incontrato, degli amici che l'avrebbero assillato di domande, del luogo in cui stava andando. Era semplicemente a casa.

Aveva passato il viaggio di ritorno a sonnecchiare, con accanto a lei la sua cagnolina che di tanto in tanto le dava una leccata, a cui lei rispondeva ridacchiando.
Era un momento estatico per lei. La tranquillità della voce dei suoi genitori, il riflesso della luce sugli occhiali di sua madre, i capelli biondi svolazzanti di suo padre.

Si erano fermati davanti al cancello che tanto temeva, ma, al contrario di quanto si aspettava, non si sentiva nervosa o in ansia, era tranquilla, pacifica.
-Sei sicura che starai bene?
Ayame aveva ridacchiato e aveva scansato la domanda con un gesto della mano.
-Sono quasi morta almeno un paio di volte. Credo che questo sarà una passeggiata.
Vide i suoi genitori irrigidirsi alla sua battuta e si sentì leggermente in colpa, in fondo erano loro quelli ad aver sofferto di più durante quel periodo.
Sospirò e li abbracciò un'ultima volta, salutando definitivamente.

Si voltò e si diresse verso l'ingresso, dove Nezu era già fermo ad aspettarla. Un sorriso cordiale in volto.
Avrebbe davvero voluto sapere cosa passasse per la mente del topo, considerato che aveva contattato lei - nonostante lavorasse in America - scartando tutti i candidati che avrebbe avuto in Giappone.
Era una dei migliori nel campo della sicurezza, questo era vero, ma era sicura che ce ne fossero anche in Giappone.
Sospirò e cacciò quei pensieri dalla testa. In fondo era probabile che fosse semplicemente perché era un ex-studentessa.
-Sono davvero lieto di poter finalmente parlare con lei faccia a faccia signorina Jirou.
Allungò la mano e strinse quella del preside, ricambiando il sorriso con uno altrettanto gentile.
-Il piacere è mio signore, ma devo ammettere che è stato difficile raggiungere una decisione.

Era una sporca bugia. Per lei non c'era nessuna decisione da prendere. Tutti gli amici che aveva in America erano semplicemente colleghi di lavoro con cui usciva ogni tanto e non avrebbero mai potuto competere con i suoi migliori amici, tantomeno con la sua famiglia.
La sua cagnolina, docile come sempre, aveva annusato Nezu, per poi scodinzolare e abbaiare felice.
Nezu non sembrava disturbato da questo comportamento e aveva gentilmente accarezzato la testa dell'animale.
-Immagino lei faccia parte della sicurezza.
Ayame aveva sorriso e annuito.
-È ancora sotto addestramento, ma sono sicura che sia perfettamente capace.
Aveva accarezzato la testa dell'animale, sorridendo dolcemente.

-Bene. Per il momento le farò fare il giro dell'edificio e le mostrerò dove starà. Se si perde non faccia scrupoli a chiedere a me o qualche insegnante...
E così Nezu aveva cominciato a parlare a vanvera. Principalemente di lavoro, ma aveva inserito anche qualche argomento più casuale a cui Ayame rispondeva pacamente, con il sorriso in volto e un piccolo cenno della testa.

Ritrovarsi in quella scuola dopo tutti quegli anni era travolgente.
Le erano tornati in mente molti ricordi mentre osservava i muri leggermente ingialliti dell'istituto. Era quasi sicura che avrebbero ridipinto di lì a poco, considerando che la scuola era principalmente sorretta dall'immagine della perfezione.
Scosse la testa a quel pensiero.
Era sicura che quell'istituto fosse decisamente attrezzato per i corsi che ospitava, ma era altrettanto certa che per alcuni era decisamente più importante l'aspetto e l'essere conosciuti rispetto all'insegnamento.
Sapeva però che non valeva per tutti. I suoi amici ne erano la prova. Avrebbe scommesso se stessa sulla loro serietà.

Aveva passato gli ultimi minuti distratta. Aveva sempre avuto questa abitudine di non ascoltare nessun adulto che le desse informazioni inutili o che fosse semplicemente noioso.
(Da qualche parte, un professore di storia starnutì... scusate, mi dileguo adesso)
Sospirò e scosse la testa, seguendo Nezu per l'ultimo corridoio.
In fondo ad esso, un uomo dai capelli biondi, decisamente alto, parlava tranquillamente con un uomo più basso dai capelli nero pece.
Per un momento volle buttarsi la mano in faccia, ma scelse piuttosto di abbassare leggermente lo sguardo, con gli occhi spalancati e accarezzarsi la fronte con la mano.

Com'era possibile che ogni volta lo incontrava? Aveva passato dodici anni ad evitarlo per passare oltre e da un anno  non faceva altro che incontrarlo ogni volta che tornava in Giappone.
Fece cadere la mano verso il suo fianco e stampò un sorriso in volto. Se doveva affrontarlo non sarebbe andata come le ultime volte.
Si fermarono proprio di fronte ai due insegnanti, attendendo la loro attenzione.

Shota era più che sorpreso di vederla di fronte a lui.
Aveva tagliato i capelli, ma la cosa non lo coglieva impreparato. In fondo lo faceva molto spesso anche quando erano ragazzini.
Sembrava più tranquilla dell'ultima volta che si erano incontrati, ma le sue mani lasciavano intendere che era decisamente nervosa.

Era un tic che aveva sempre notato.
Tendeva a giocare con le ultime due dita della mano destra ogni volta che si agitava o che si sentiva in imbarazzo.

Aveva ignorato l'intera conversazione tra i tre, continuando a osservare le mani della ragazza che continuava a tormentarlo.
Erano sempre state così sottili le sue dita?
Probabilmente non le aveva mai osservate per bene se ora andava a domandarsi se erano seriamente le sue mani.

Scosse la testa.
Che domande erano?
Non poteva credere a ciò che gli passava pera testa.
Era sicuro di stare bene?
La risposta la conosceva già ormai.
E quella risposta era no. Non stava mai bene, non quando rivedeva lei.
Non sapeva bene perché aveva ancora sentimenti così forti per una donna che non vedeva da anni, ma non poteva farci molto.
Un po' lo ricollegava a Oboro.
In fondo era tutto scattato da lui.

Shots sospirò rendendosi conto che ora nessuno dei due sarebbe potuto più scappare.
Non si sarebbero potuti ignorare in eterno lavorando nello stesso edificio.
Sospirò una seconda volta.
Era decisamente fottuto.

Shota Aizawa - BNHADove le storie prendono vita. Scoprilo ora