Let her go

1.6K 77 7
                                    

Ero distesa sul letto ad ammirare il soffitto da quando ero rientrata a casa. La mia playlist era in ripetizione da non so quanto tempo e la musica accompagnava la mia mente lontano da lì, in posti che volevo visitare e persone che volevo rivedere.

Mi mancava l'amata campagna dove avevo passato le vacanze natalizie. Adoravo i miei nonni materni a differenza di quelli paterni con cui evitavo di trascorrere del tempo. Si, vi sembrerà veramente stronzo quello che ho appena detto, ma almeno mi evitavo gli elogi infiniti di mia nonna verso mia cugina.

Nonna Maria era la mia seconda mamma, mi amava come se fossi sua figlia; eravamo due corpi ma una sola mente e un solo cuore. Avevamo pianto entrambe quando me ne ero andata, di solito trascorrevamo l'estate lì, in modo da scappare dalla solita routine invernale.Volevo rimanere lì dato che avevo un presentimento su questo nuovo anno; sarebbe sto un disastro.

Afferrai il telefono e composi il numero della mia piccola e dolce vecchietta.

« Selena? » Era la voce di mia zia, di solito non rispondeva mai lei.

« Si. Mi passi nonna? Eravamo rimaste che l'avrei chiamata oggi. » Chiesi cercando di non pensare al peggio, ma le parole che pronunciò diedero il colpo di grazia a ciò che stavo supponendo.

« Selena... la nonna non si è sentita bene, abbiamo chiamato l'ambulanza, ora andiamo da lei. » Il mondo mi crollò addosso dopo quelle parole. La giornata peggiore della mia vita.

« Ti prego, portatemi con voi. » Affermai sentendo copiose lacrime solcarmi il volto.

« Ho chiamato tua madre poco fa. Io devo andare organizzati con lei. » Chiuse la chiamata e una sensazione di vuoto mi invase, non potevo perderla. Dio non poteva farmi questo. Raccolsi la giacca, il telefono e corsi verso l'ospedale. Poteva farcela, nella sua vita era stata sempre una guerriera e ce l'avrebbe fatta anche quella volta.

Sentivo il cuore battermi in petto all'impazzata mentre correvo verso la "mia" vita. Tutta la mia infanzia mi passò davanti come un film: i nostri giochi, i nostri litigi, le nostre risate, i nostri abbracci, i nostri segreti e le nostre promesse. Era l'unica a sapere ciò che provavo per Massimo - forse era l'unica a cui avevo parlato di lui -, lei mi aveva sorriso e rassicurato che tutto si sarebbe aggiustato. No, non poteva e non doveva farmi questo, lasciarmi da sola in un mondo che non mi amava.

Imboccai la strada principale mentre il cielo si scuriva e piangeva insieme a me. In fondo continuavo a ripetermi quelle parole: "Ti prego, ti prego, non farmi questo, non togliermi una delle persone più importanti della mia vita". Era diventata la mia preghiera silenziosa verso la persona che dal cielo mi guardava e diriggeva tutto.

La scritta luminosa con scritto OSPEDALE a caratteri cubitali confermò che ero arrivata a destinazione. Mi avvicinai al Pronto soccorso ed entrai, trovando tutta la famiglia: mio nonno, i miei genitori, mia zia e suo marito. I miei spalancarono gli occhi vedendomi in quelle condizioni, tutta bagnata e con il fiatone.

« Dov'è? » Chiesi avvicinandomi a tutti quei visi sconvolti.

Un medico con il camice bianco si avvicinò a noi. « I signori Accorda? » Chiese alzando gli occhi verso tutti noi cercando le parole adatte. « Mi dispiace. » Furono le parole che scrissero la parola fine alla mia vita.

Ricordati Di MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora