Capitolo 25.

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Si erano fatte circa le undici quando ci direggemmo sul divano.
Clay, dopo essersi cambiato, prese dalla sua valigetta vari moduli e li sparse sul tavolino mentre io mi occupai di portare la bottiglia di vino e i bicchieri.
"Sei pronta?" domandò,
"Si" risposi poggiando entrambi i bicchieri proprio avanti a noi e versando ancora da bere.
"Esatto, credo ci servirà" sussurrò prendendo delicatamente il suo bicchiere ed alzandolo.
Senza chiedere perché brindammo.
Non potevo saperlo, ma quel brindisi sarebbe stato l'inizio della fine.
Per un po continuammo a leggere e firmare documenti, uno dopo l'altro, alternando il tutto con il bere e le risate.
Mi raccontò del primo giorno passato nello studio di Garcetti, della volta in cui aveva saputo di essere stato scelto per lavorare all'interno della Children's Defense Fund, un'organizzazione nonprofit per la tutela dei bambini, e tanto altro.
Si stava aprendo con me e così decisi di fare lo stesso.
Gli raccontai del primo giorno ad Atlanta, della paura che avevo provato, di quel senso di inadeguatezza che mi aveva accompagnata durante il primo periodo e lui sembrò capire perfettamente a cosa mi stessi riferendo.
"Si, so esattamente come ci si sente" sussurrò cambiando espressione e fu allora che le carte in tavola cambiarono definitivamente.
Quello divenne il punto di non ritorno.

Istintivamente gli presi la mano perché quella tristezza nel suo sguardo mi fece rabbrividire

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Istintivamente gli presi la mano perché quella tristezza nel suo sguardo mi fece rabbrividire.
Odiavo che le persone soffrissero, non potevo sopportarlo, avrei dato il mondo per cambiarlo.
Clay non disse una parola ma mi lasciò fare.
"Ad ogni modo, non mi sono mai sentito più adeguato di adesso, qui, con te"

"Ad ogni modo, non mi sono mai sentito più adeguato di adesso, qui, con te"

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"Nemmeno io" risposi involontariamente.
La sua mano iniziò a stringere la mia.
"Credo che significhi qualcosa, anzi ne sono certo..." sussurrò poi.
"Lo so.
Anche io lo penso"
"Cosa ti fa credere di saperlo?"
"Oh, perché sono piu intelligente di te" risposi.
"Io conosco più parole di te"
"Io ho più emozioni di te"
"Io ne ho altrettante.
Solo faccio in modo che tu non lo sappia"
"Ti sbagli, non sei così bravo quanto credi" lo contrariai.
"Pessima bugiarda" sussurrò avvicinandosi.
Lo spazio tra di noi iniziò a diminuire.
《Shelby aveva ragione》 pensai.
Ormai c'eravamo troppo dentro per continuare a fingere, entrambi lo sapevamo.
"Ho una parola in questo momento, una parola complicata.
È come vincere dieci a uno" aggiunse.
Se fino a quel momento ero rimasta immobile perché non avevo la piu pallida idea di cosa volessi fare adesso lo sapevo.
Nessun altro dubbio a riguardo.
Mi avvicinai a lui inarcando leggermente la testa.
"Ti ha davvero lasciato?
Si, beh intendo l'ultima volta lei..."
"Mi avrebbe lasciato comunque...
Perchè...perchè...
Se Roma è destinata a bruciare, vorrei vederla un'ultima volta.
E vorrei vederla con te"
Le parole di Clay arrivarono come un fulmine a ciel sereno e sgretolarono tutto, scoperchiando irreversibilmente il vaso di pandora.
Ci baciammo.
Avevo immaginato così tante volte quel momento che faticavo persino a credere fosse vero, ma lo era.
Avvertivo il calore delle sue labbra sulle mie, la minuscola pressione provocata dal tocco del nostro naso, il leggero solletico dei suoi capelli premuti sulla mia fronte e mi accorgevo di tante altre sensazioni che non avevo mai neppur lontanamente provato in vita mia.
Se con una mano era impegnato a sfiorarmi il viso, con l'altra aveva iniziato a percorrere la mia schiena oltrepassando i vestiti.
Entrambe le mie mani era dietro la noce del suo collo e con le dita continuavo ad aggrapparmi ai suoi capelli, i suoi bellissimi capelli.
Prese un respiro, la sua presa su di me si fece più forte.
Lentamente iniziò a farsi in avanti, indietreggiai fino ad arrivare con la testa sul cuscino.
Con la mano sinistra scesi lentamente per la lunghezza del suo braccio, Clay si ritrasse e prese un altro respiro.
Riuscivo a percepire il movimento della sua gabbia toracica, sembrava sul punto di esplodere.
Ma fu quando, mentre abbassavo la zip della felpa, le mie mani entrarono in leggero contatto con la pelle del suo petto che il mio cuore scoppiò.
《Non ci potrà più essere un equilibrio, Eve.
Non potrai tornare indietro...
Sarà troppo tardi 》pensai sentendo le parole di Shelby invadermi la testa.
Prima che potessi realizzare, la felpa di Clay non c'era piu, così come la sua maglia.
Lui la sfilò via con una tale foga che il solo pensiero mi diede la scossa.
Forse, in fin dei conti, non ero stata l'unica a desiderare qualcosa che non avrei dovuto desiderare.
Mi risollevai velocemente, accorgendomi che anche lui stava riacquistando lucidità.
Toccai il fondo, o meglio, lo toccammo insieme.
Ci guardammo per un istante, fermi, immobili uno difronte all'altro, dopodiché ormai consapevoli di aver la possibilità di scegliere, scegliemmo.
Entrambi scegliemmo noi stessi, per una volta, ignorando il fatto che la nostra decisione ci avrebbe costretti a pagare il prezzo più alto.
《L'unico modo per conoscere una persona è amarla senza speranza》
Ed era davvero così, quella sera ne fu la dimostrazione.
Non c'era speranza per noi, non c'era mai stata, eppure in quel momento non avevamo altro a cui aggrapparci.
Lo baciai, sedendomi sulle sue gambe.
Clay all'inizio titubante, strinse le sue braccia dietro di me e avvicinandomi sollevò la maglia che indossavo per gettarla sul pavimento.
Ma sapete, dove c'è molta speranza c'è sempre altrettanta sofferenza, un cuore spezzato.
《Tre, due, uno...》
Clay riprese il controllo di se stesso, così come me.
《Gameover》.
Rapidamente mi alzai dalle sue gambe ed indietreggai afferando al volo le mie cose.
La mia testa iniziò a girare tanto da farmi perdere la cognizione del tempo per qualche istante, tempo sufficiente per dare a Clay la possibilità di rialzarsi e racimolare tutto.
Maldestramente fece cadere parte dei fogli che avevamo precedentemente compilato e quando si abbassò per prenderli mi accorsi del suo tremolio.
"Lascia che..." sussurrai avvicinandomi.
"No" rispose senza neppure voltarsi.
Mi immobilzai, la punta di pentimento che trasparì dal suo tono mi tolse il respiro.
Tornai al mio posto senza batter ciglio, non riuscivo più a parlare ma in compenso riuscivo a sentire il calore delle lacrime iniziare a farsi sempre più insistente.
《Ti prego Eve, non adesso》 pensai.
Clay, richiuse la cerniera della felpa e tirò via la valigetta dai piedi della poltrona.
A passo svelto arrivò alla porta e la aprì, lasciando poco all'immaginazione.
Se ne andò chiudendola alle sue spalle e ne mentre non disse una parola.
Il peso del mio corpo si fece insostenibile, mi piegai in avanti cadendo sulle ginocchia ed urlai.
Con una mano afferrai uno dei bicchieri e lo scaraventai contro la parete.
Con tutta la forza che mi era rimasta spinsi il tavolino il più lontano possibile e scoppiai a piangere.

If Rome Is Gonna Burn | Clayton Haas  [ Da Revisionare ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora