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Mukoyōshi «Letteralmente "genero adottato", è un uomo adulto che viene adottato in una famiglia come marito di una figlia, prendendone il cognome».

Questa è un po' la sorte che è capitata a me, circa sei anni fa: avevo 18 anni e mio padre, Kim Chensoo, era gravemente malato. I medici gli avevano dato pochi mesi di vita e l'unica cosa che quello stacanovista riuscì a pensare, anche in fin di vita, fu il lavoro.

Aveva basato la sua esistenza esclusivamente sulla sua carriera, era sempre fuori città, o chiuso nel suo ufficio e io e mia madre lo vedevamo così poco, che a tratti dimenticavo il suo volto. Erano rari i momenti padre-figlia, non mi aveva mai detto una parola dolce, non mostrava mai segni di affetto, e io crescevo nella frustrazione e tra i mille complessi pensando di non essere alla sua altezza. Nonostante a scuola fossi la studentessa migliore con la percentuale più alta dell'intera città, mi impegnassi negli sport ed ero presidentessa di tre club, a lui questo non sembrava bastare; e a quel punto capii che probabilmente non avrei mai incontrato le sue aspettative, perché lui semplicemente non mi amava.

Eppure vederlo lì, su quel letto, così vulnerabile, non mi rendeva triste, tutt'altro, non provavo nulla, ero così abituata a non vederlo, che la morte poteva solo essere una scusa per non rivederlo mai più una volta per tutte.

«Perché non ti fidi di lei? Anche in punto di morte riesci comunque a deluderla» sentii mia madre urlare contro di lui e presa dalla curiosità, mi affacciai di soppiatto alla camera da letto in cui stavano parlando e origliai quella strana conversazione.

«Non iniziare Hise -rispose lui con un filo di voce- io mi fido di Hana, ma temo che lei non sia abbastanza preparata per ereditare la "Sungsam Corporation"». Sentirlo parlare così di me, mi faceva ribollire il sangue nelle vene; mi portai una mano sul cuore quasi come se lo volessi strappare via dal petto, perché nonostante tutto, non riuscivo veramente a odiarlo e le sue parole continuavano a ferirmi.

«Ho già preso la mia decisione. Ricorreremo ad un'antica tradizione giapponese che si sta sviluppando anche qui in Corea» disse schiarendosi la gola con piccoli colpi di tosse.
«Di cosa stai parlando Chensoo?» gli chiese mia madre scettica.
«Sto parlando del Mukoyōshi, ho deciso che adotterò un giovane ragazzo a cui darò in eredità la mia azienda ed eventualmente la mano di Hana».

Udite quelle parole il mio cuore non resse più, sentii una fitta allo stomaco e un groppo alla gola, ero delusa e arrabbiata. Aprii la porta della camera con un colpo secco e inizia a marciare verso quell'uomo insensibile e cinico seduto malamente sul letto.
«Hai intenzione di adottare un ragazzo e darmi in sposa a lui, piuttosto che fidarti di me?» Gli urlai a pieni polmoni e con le lacrime che scendevano copiose rigandomi il viso «Tu non meriti di essere chiamato padre! Sei un arido bastardo, io ti odio!».
Non riuscii più a controllarmi, era come se quelle parole fossero uscite dalla mia bocca in maniera del tutto spontanea e poi scappai dalla stanza velocemente non guardandomi indietro e lasciando mio padre inerme sul letto, mentre mi guardava andare via con i suoi occhi neri e inespressivi.

Mukoyōshi // K. TaehyungDove le storie prendono vita. Scoprilo ora