Greto
Greto si chiuse la porta alle spalle. Sentiva i singhiozzi di Teresa dall'altra parte.
Percepiva ancora il vuoto e la paura dentro di lui, lo stesso vuoto e la stessa paura che non lo avevano mai abbandonato nei cinque giorni successivi alla sera di quel 28 novembre. Eppure, stavolta sembravano più deboli, più silenziosi, meno pesanti, come se un po' di quello schifo si fosse allontanato da lui, come se Teresa fosse riuscita veramente a prendersi il suo dolore.
Non era felice, non sapeva se sarebbe mai più riuscito ad esserlo, però era sollevato, sentiva di nuovo i polmoni funzionare.
Aveva deciso di nasconderlo a tutti, a sua madre, a Marzia, a Teresa, pensava fosse la cosa più saggia, pensava di riuscirci. Ogni notte però Michele tornava, lo vedeva davanti a lui, rosso di rabbia, violento e famelico come quella sera, pronto a fargli del male, ad usarlo come un oggetto su cui sfogare le frustrazioni, a stozzarlo, a bloccarlo. Sentiva le sue mani, il suo respiro, il suo sguardo. Tutto era terribilmente vero. Si sentiva in trappola, si sentiva abbandonato.
Sapeva di essere lui il colpevole, aveva esagerato, non era necessario truccarsi in quel modo, non serviva mettere una maglietta così corta. Se l'era cercata. Essere Greto aveva un prezzo e questo prezzo doveva essere pagato, e l'avrebbe fatto. Si sarebbe tenuto quel dolore per sé, era una sua punizione, nessun'altro avrebbe dovuto soffrirne. Agli altri si mostrava sereno, più Greto che mai, spensierato in quel mondo di rose e fiori che tanto si era impegnato a costruire.
Dentro però lottava. Lottava contro sé stesso, contro quel dolore ce non riusciva a silenziare, contro quella ferita che non smetteva di sanguinare. Sapeva di essere solo, sperava di guarire con il tempo, dimenticandosene, trasformando quell'orribile incubo in un ricordo sbiadito, languido e umido, come lo erano quelli della sua infanzia.
Però quel pomeriggio Teresa sembrava pronta, era presente, era lì per lui. Non avrebbe voluto, forse non avrebbe dovuto, eppure, come attratta da una calamita, la sua paura sgorgò da lui, tutta insieme, senza lasciargli il tempo di respirare. Fece male, lo stesso dolore che si prova quando si leva una scheggia: rapido, localizzato e spaventosamente intenso.
Non riuscì a contenere la fitta, neanche per tre secondi. Appena cominciò a parlare, insieme alle parole uscirono le lacrime.
Parlandone tutto diventava incredibilmente tangibile, canonico. Però questa volta erano in due. Stavolta non era solo: Teresa riuscì a dimezzare il dolore.
Era ancora scosso, non aveva mai provato così tante emozioni insieme, non si era mai mostrato così nudo agli occhi di una persona. Non era sicuro di chi essere, si sentiva diverso, fragile, come se tutta la sua vita tendesse a quel momento, come se la prima parte della sua esistenza fosse finita in quella stanza. Si sentiva annullato, come se neanche Greto fosse più sufficiente. Non capiva più chi fosse, non sapeva più chi essere.
Si asciugò gli occhi, si soffiò il naso e scese le scale fino alla zona giorno della casa dell'amica.
«Ciao Greto!» sentì una voce di bambina urlare ma non fece in tempo a girarsi che la sorella di Teresa, Celeste, era già ancorata alla sua gamba.
«Non sapevo ci fossi, Teresa non avverte mai!» la signora Vitali spuntò dietro la figlia più piccola con un borsone della spesa a tracollo.
Greto la trovava bellissima, era alta quasi quanto lui e guardando in quegli immensi occhi neri non poteva che scorgere lo sguardo di Teresa.
«Ciao Naja, ciao Celeste- sorrise guardando prima una e poi l'altra- siamo venuti stamattina dopo la scuola, eravamo esausti per il compito di filosofia, spero non sia un problema. C'è anche Marzia di sopra»
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Mentre i topi ballano
Teen Fiction«Teresa saresti sola a controllare più di trenta persone, una ragazza senza nessun adulto. Si sa, quando il gatto non c'è i topi ballano, e Dio solo sa cosa può succedere mentre i topi ballano» Per quanto Teresa odiasse farlo, quella volta fu costre...