Marzia

6 2 0
                                    

Tutto intorno era immobile, come congelato dalla brina mattutina.

Assopito dal freddo tagliente di gennaio, quel viale se ne stava silenzioso e placido. Tutte le villette che fiancheggiavano la strada da ambo i lati, addobbate ancora da festoni, lucine ormai spente, e, di rado, qualche albero; sembravano osservare allibite quella scena così insolita da apparire estranea da quella realtà: lì, nel silenzio delle vacanze natalizie, nella stasi delle prime ore di una nuova settimana, una ragazza correva.

Il suo moto era tutto fuorché ordinato. A differenza di quelle villette, nulla in quei movimenti così animaleschi, sembrava essere calcolato. Non era razionale ciò che alimentava quella corsa: seppur da lontano, chiunque, affacciandosi da una delle tante finestre sul viale, avrebbe intuito che, la causa di essa, non era di certo qualcosa di piacevole.

Lo sguardo dritto, perso in qualcosa di impercettibile ad occhi esterni, parlava chiaro: ciò che muoveva quella ragazza era paura. E, sebbene non ci fosse nulla di spaventoso in quella normalità, la ragazza continuava imperterrita nel suo tragitto, senza arrestarsi un attimo, senza concedersi un respiro. Non era chiaro il perché di quel tormento, non era chiaro il motivo di tanta fretta, fatto sta che nessuno tra i tanti occhi che quella mattina osservarono quella bizzarra scena, avrebbe voluto trovarsi nei panni della ragazza misteriosa.

Neanche Marzia, avvolta nella giacca di fortuna indossata appena prima di uscire di casa, avrebbe saputo spiegare ragionevolmente il motivo della sua corsa, semplicemente perché, di razionale quella corsa non aveva nulla.

Sapeva soltanto ciò che era accaduto ad Alberto, era stata Matilde a dirglielo poco meno di mezz'ora prima. La vide entrare nella sua stanza in punta di piedi, quasi come volesse evitare di rovinarle quegli ultimi secondi di serenità rimasta. Le disse che era appena arrivata una telefonata a casa da parte di una delle amiche della parrocchia, diceva che cercava la loro madre per riferirle la disgrazia accaduta e che, conoscendo il rapporto tra Alberto e sua sorella, Matilde non se la sentiva di ignorare quell'informazione così importante.

Marzia non razionalizzò neanche in quel momento, nonostante sentì il sangue fermarsi, la pelle raffreddarsi di colpo, le lacrime sgorgare inconsapevolmente dai suoi occhi, non riusciva a dirsi che tutto ciò fosse reale. Anche tra le braccia di sua sorella, anche dopo aver ascoltato le parole rassicuranti di lei, Marzia non riusciva a trovare nessuna spiegazione ragionevole a quel gesto indicibile, se non nelle parole che lei stessa riferì ad Alberto un mese prima.

«è colpa mia- continuava a ripetere ogni qual volta sentiva un soffio d'aria entrarle nei polmoni -l'ho ammazzato io»

Niente poteva convincerla del contrario, era palese, nitido come fosse scritto a caratteri cubitali ovunque: era stata lei l'artefice di tutto e sarebbe stato sciocco, se non addirittura insensibile, scostarsi da quella colpa che ormai le sembrava così sensata e meritata.

Marzia continuava a vedere quel giorno, quel muro, quell'erba, e nella sua testa sentiva parole che sapeva di non aver mai pronunciato ma, con lo scorrere del tempo, questa sicurezza andò svanendo.

Si vide dare dello stronzo ad Alberto, poi dell'egoista, del meschino, dell'ipocrita, del subumano. Si vedeva mentre lo irrideva, lo spintonava, lo picchiava più e più volte. In quella manciata di minuti, tanto lunghi da sembrarle che nulla fosse mai successo all'infuori di essi, Marzia vide tutta la sua crudeltà, e si fece tanto ribrezzo che arrivò a pensare che Alberto in fin dei conti aveva ragione, lei si era meritato tutto, il video, le risate, le condivisioni, e quel gesto glielo aveva confermato.

Lì sulla spalla di sua sorella, la quale la stringeva come a volerla proteggere da tutto ciò che poteva romperla drasticamente, Marzia si convinse che tutto ciò che le era successo era stato terribilmente futile, e si sentì così egoista e stupida ad aver sofferto per una storia del genere, che quasi rimpiangeva quel dolore. Nulla in vita sua le aveva mai fatto così male.

Mentre i topi ballanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora