Michele

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⚠️ In questo capitolo verrà trattato il tema dello stupro e saranno utilizzate parole d'odio fortemente omofobe, la lettura è sconsigliata per chiunque sia particolarmente sensibile ai suddetti temi⚠️

Michele tremava, era in panico. Per la prima volta in vita sua si rese conto di aver fatto una cazzata.

Continuava a guardare quel video come se il suo sguardo potesse cancellarlo. Era tutto un gioco, uno scherzo, una robetta fra ragazzi, e adesso, per colpa di quel frocio di Greto, rischiavano tutti grosso. Non era solo questo in realtà: Michele sapeva bene cosa c'era dietro il video. Sapeva che se la notizia fosse arrivata a Marzia la verità su quella sera sarebbe venuta a galla. Non poteva permetterlo, sperò con tutto sé stesso che Greto non parlasse, che Marzia non vedesse mai quel video, che Alberto la raggiungesse in tempo e, mentre sperava, la sua agitazione cresceva.

La campanella interruppe la quarta visione di quel video schifoso. Una volta alzato lo sguardo, notò Alberto sull'uscio della porta.

«Albo che hai fatto? L'hai trovata? Lo sa?» Scalpitava con il piede sinistro in attesa di una risposta dal compagno immerso nel sudore.

«Si, lo sapeva. È stato quel Greto».

Sentì un impeto di rabbia salirgli verso la testa. «E tu? Albo che le hai detto?» insistette.

«Che le dovevo dire Miche'? Ho detto che ne avevo ricevuto uno anche io, e che mi dispiaceva».

Si sentì sempre più offuscato, sempre più colpevole. «Vaffanculo Albè te l'ho mandato io! Per levarti la merda di dosso la lanci a me?».

Ormai era incontrollabile, camminava in circolo davanti al compagno come se volesse smaltire la rabbia che in realtà avrebbe desiderato sfogare sull'amico.

«Ma non ho fatto mica il tuo nome Miche', calmati».

Era sicuro di essere giunto al limite: «Albo ma che cazzo dici, se partono da te sai quanto ci mettono ad arrivare a me? Tu te ne lavi le mani poi me dici di calmarmi. Facile!».

«Non penso abbia intenzione di denunciare» era evidente che Alberto non avesse la minima idea di cosa dire.

«No infatti, ce ringrazierà e basta! Ma vattene affanculo Albo». La chiuse lì, se ne tornò a posto e riversò sul banco tutte le botte preservate ad Alberto. La rabbia sostituì ben presto l'iniziale agitazione e, a causa di essa, non riuscì a seguire neanche dieci minuti delle tre ore successive.

La rabbia è stata la migliore amica di Michele fin dalla sua infanzia. Non c'è stato niente nella sua vita che non è riuscito ad ottenere senza di essa. Sua nonna non era capace di vederlo in quelle condizioni: il suo bambino aveva già sofferto troppo per negargli qualsiasi cosa, e, viziandolo, sperava di rimediare alle sue pene. Crescere senza genitori non è bello, venire a sapere che i propri genitori non sono in grado di badare a te non è bello, sapersi figlio di due tossici criminali non è bello. Michele sapeva del suo essere un errore, una svista causata da una dose di troppo.

Sua madre la conosceva, malgrado gli sforzi di lei però non ci parlava, o meglio, si limitava a risponderle a monosillabi. Suo padre invece non lo aveva mai visto, a detta di sua nonna si era trasferito in una clinica fuori Milano, a detta di suo zio però quello di Milano non era suo padre, era solo il ragazzo che frequentava sua madre nell'agosto del 2002.

Non voleva bene ai suoi genitori, non ne sentiva la mancanza, non diede mai a sua nonna la colpa di non essere sua madre. Però non lo riteneva giusto, e le ingiustizie a Michele facevano rabbia. Non era giusto che tutti i suoi compagni avessero un papà e una mamma, giovani, belli, somiglianti ai figli, aggiornati con le tendenze e con le tecnologie. Michele da essere figlio di sua nonna si ritrovò troppo presto ad esserne padre, maestro di quel mondo evoluto nel quale lui ha dovuto farsi strada da solo. Non avrebbe mai ricevuto il suo primo cellulare, o la rete Wi-Fi dentro casa se non fosse stato per suo zio.

Mentre i topi ballanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora