Teresa

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⚠️ In questo capitolo verranno utilizzate parole d'odio fortemente razziste ed omofobe, la lettura è sconsigliata per chiunque sia particolarmente sensibile ai suddetti temi ⚠️

La macchina di Greto si allontanò dal giardino quel mercoledì sera. Teresa la osservava dalla finestra di camera sua, quella stanza si era improvvisamente fatta silenziosa, un silenzio diverso rispetto a quello di pochi minuti prima, un silenzio leggero, quasi tranquillizzante.

Il suo riflesso sul vetro non lasciava alcun dubbio: quella sera era stanca morta. Aveva provato così tante sensazioni nuove assieme che quasi non le sembrò reale quella placida normalità. Ormai l'auto di Greto con anche Marzia al suo interno era sparita nel buio da cinque, forse dieci minuti. Eppure, lei era rimasta lì, immobile a fissare quel vialetto, come se stesse aspettando qualcuno, perlomeno questo è ciò che occhi esterni avrebbe potuto dedurre, Teresa era sì immobile ma non stava guardando nulla, almeno non con la giusta attenzione.

Si ritrovò a vagare nella sua mente senza neanche rendersene conto, in caso se ne fosse accorta probabilmente sarebbe tornata indietro: Teresa non amava camminare nei suoi pensieri, là dentro si sentiva sola, vulnerabile. Pensare le costava fatica, le faceva paura. Pensando si sarebbe dovuta lasciar trasportare dal flusso di coscienza, senza controllo alcuno, e Teresa era dipendente dal controllo. Nella sua testa tutto poteva accadere, tutto era possibile e ciò la terrorizzava. Per questo motivo parlava tanto, le chiacchiere, gli altri, le risate e perfino i pianti coprivano quel continuo rumore di fondo che era la sua mente. Con il tempo imparò ad ignorarla, a darle meno spazio possibile, a non consultarla prima di parlare. La consideravano troppo schietta, fuori controllo, arrogante, ma ciò che agli altri sfuggiva era che di quel flusso apparentemente incontrollabile di parole, Teresa teneva salde le redini, e che, malgrado il caos, quel continuo dire la sua, quel continuo circondarsi di voci, non faceva alto che darle l'illusione di possedere la sua mente.

Nonostante tutto Teresa quella sera pensò.

Pensò a Marzia, alla forza che ebbe nel pubblicare quel post, nello scrivere quelle parole, si domandò se lei sarebbe mai stata capace. Pensò a sé stessa, ritenne ingiusta quella calma che l'attanagliava, si sentiva colpevole di non star soffrendo, come se stesse tradendo il dolore dei suoi amici. Pensò a Greto, meraviglioso Greto, a quanto poteva star male, a quanto poteva essere insopportabile un dolore così grande per un ragazzo così buono. Pensava a Michele, a quanto lo odiava a quanto le faceva schifo.

Tutto era silenzioso intorno a lei, statico come non mai, ma la sua mente viaggiava: da quel pomeriggio alla sera del suo compleanno, dal primo giorno di scuola alla gita del terzo nella quale baciò Greto per un obbligo, dalle chiacchierate estive con Marzia fino a tarda notte sul cordolo davanti casa sua, alle feste in piscina da Camilla a quel carnevale in cui si erano vestiti da Trix. Ricordò le risate, gli abbracci, le foto, gli insulti. Pensò a quanto fosse bella la loro amicizia, a quanto fosse fortunata ad aver trovato le persone giuste, e si sentiva in colpa di star sorridendo ma non poteva farne a meno, perché nonostante le ingiustizie, nonostante gli altri, in quella stanza c'erano stati Marzia, Teresa e Greto, gli stessi Marzia, Teresa e Greto di sempre, bambini costretti a vivere in un corpo sempre più adulto, che non riuscivano ancora a controllare, di cui non capivano a pieno i rischi e le potenzialità.

Aveva diciotto anni, in tutto quel marasma si era quasi dimenticata di cosa avrebbe dovuto festeggiare il giorno del suo compleanno, ci era riuscita anche lei, anche lei aveva fatto quel piccolo immenso passo di sola andata verso il mondo dei grandi, un mondo che non conosceva ancora e, per quel poco che aveva visto, le faceva fortemente schifo. Però era lì, nessuno l'avrebbe mai più portata sulle spalle, dato la mano prima di attraversare la strada, messa a letto in caso di sonno profondo sul divano. Lentamente, sotto i suoi occhi, tutte le domande poste a sé stessa anni fa avrebbero trovato risposta: da lì a poco avrebbe iniziato l'università e forse un giorno sarebbe davvero diventata oculista. La fantasia diventava sempre più concreta, a volte si rivelava essere bastarda, altre volte semplicemente reale. Era spaventoso certo, fatto sta che non era paura quella che provava, tutto intorno cresceva e maturava con lei, non era bello, non era brutto, era così, era inevitabile.

Mentre i topi ballanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora