Resto un attimo a fissarlo e spero con tutto il cuore che riesca a capire come mi senta, per poi andarmene il più velocemente che posso.
Sento Steve che mi chiama, ma non lo ascolto e procedo verso l'uscita, nonostante non sia ancora del tutto guarita e cammino un po' goffamente.Il portone si apre al mio passaggio mentre le lacrime scorrono giù dalle mie guance e l'aria fresca mi colpisce in tutto il corpo: per la prima volta ero di nuovo a contatto con il mondo, eppure nulla sembrava cambiato, quanto meno per gli altri.
Mi dirigo istintivamente verso l'ospedale più vicino al nostro ufficio, convinta di poter trovare lì la mia migliore amica, guardandomi un po' intorno e cercando di non dare troppo nell'occhio.
Camminando sempre più a fatica, raggiungo l'entrata e molto sguardi si posano su di me, straniti, ma io proseguo ignorando ciò che mi sta intorno.All'ingresso, appoggio le braccia sul bancone e la ragazza davanti a me alza gli occhi dalla tastiera del suo computer.
«Jen Smith, è qui?»
«È un parente?»
«È QUI?»
La ragazza mi guarda con aria di sfida, ma poi mi squadra e capisce che è meglio lasciar perdere, viste le mie condizioni pietose.
«Stanza 51, alla fine del corridoio sulla destra»
La ringrazio svogliatamente e mi avvicino alla stanza, farfugliando preghiere e parole senza senso.
Quando ci sono davanti, faccio un respiro profondo e poi entro.
Jen.Lei è lì, stesa sul lettino, con un grosso livido sul viso, il collare e il corpo ricoperto dalla veste azzurrina da ospedale.
È inerme e sembra respirare a fatica. Metto un piede davanti all'altro finché non arrivo davanti a lei e la guardo, rimanendo per qualche secondo immobile, in uno stato di shock.
Deglutisco faticosamente e distolgo lo sguardo, notando che sul comodino alla destra del letto ci sono diversi mazzi di fiori, ma uno in particolare attira la mia attenzione: c'è sopra un bigliettino.
Prendo il piccolo foglietto tra le mani e lo apro, trovando il nome di Cole scritto sopra.
"Sei la donna più forte che io conosca e me ne accorgo soltanto ora. Lotta per me e quella pazza di Keira.
Ti amo, Cole".Che idiota. Sapevo che si sarebbe pentito.
Sorrido mentre altre lacrime rigano le mie guance e ripongo il bigliettino al suo posto.
Mi giro verso la mia migliore amica, pensando a quanto sia importante per me, mentre stringo la sua mano esile tra le mie.
Afferro la sedia della scrivania sotto la finestra e la metto affianco al letto, così da potermi sedere vicino a lei.
Una volta seduta, la osservo: la guancia destra era coperta da un livido violaceo che in questo momento vorrei fosse sul mio viso anziché sul suo. Mille interrogativi appaiono nella mia testa su cosa le sia successo quando ci siamo separate, quindi mi costringo a non pensare, soprattutto credere che questo sia colpa mia, per godermi il momento.Lei c'è sempre stata per me. Quando è morta mia madre, veniva sempre a trovarmi dopo scuola, anche se ci eravamo viste per sei ore poco prima, mi costringeva ad andare a mangiare qualcosa fuori e poi a vedere un film dopo cena, mentre ci addormentavamo l'una abbracciata all'altra.
Ho instaurato un legame così forte con lei perché è stata l'unica a capirmi fino in fondo, a vivere la mia stessa situazione: anche i suoi genitori sono morti, ma a differenza mia è successo in un incidente.
Nonostante questo lei è stata vicina a me. Cioè che è successo ai nostri genitori ci ha unite così tanto che se morisse, morirebbe anche una parte di me.
«Jen ti prego, io non ce la faccio senza di te»
Sento il respiro mancare, mentre lascio che il dolore scivoli via da me, iniziando a piangere più forte.Dopo qualche minuto uno strano suono mi riporta alla realtà: la macchina accanto a noi aveva iniziato a suonare, infatti due dottoresse entrano in tutta fretta nella sala.
Anche l'elettrocardiogramma inizia ad essere irregolare e i suoni si fanno più intensi, mentre una luce rossa si accende sullo schermo.
«Ragazzi, portatela via!»
Dice una donna bionda, seguita da altre due ragazze che si avvicinano alla mia amica.
«No! No! Cosa fate? Cosa succede?»
Un dottore mi prende e mi solleva di peso dalla sedia mentre io cerco di dimenarmi e allo stesso tempo afferro la struttura metallica del letto, ma non riesco più a trattenere la presa e alla fine mi allontanano da Jen.«No! Lasciatemi!»
Cerco di spingere via il ragazzo che mi tiene mentre altri dottori entrano nella stanza, coprendo Jen dalla mia vista.
«Mi lasci!»
Quando finalmente metto i piedi per terra, faccio per tornare nella stanza ma il moro di fronte a me non sembra intenzionato a lasciarmi passare.
«Signorina deve aspettare fuori, mi dispiace»
Fa da scudo alla porta, controllando che i suoi colleghi siamo riusciti ad intervenire, quindi rimango lì immobile con le mani nei capelli, fino a quando tutti i dottori escono dalla stanza, da cui non si sente più un rumore.
Le loro facce sono assenti, quindi sbircio dentro la camera ma tutti i macchinari sono staccati e la mia amica è ancora stesa sul letto.
Guardo le persone intorno a me, mentre il dottore che mi ha portato fuori mi rivolge uno sguardo mortificato, avvicinandosi.No. No, no, no, no!
«Signorina ci dispiace, abbiamo provato ma-»
Smetto di ascoltare e rimango immobile a fissare il corpo della mia migliore amica nella stanza, incapace di fare qualsiasi movimento.
Quando mi riprendo dopo qualche secondo, la forza nella mie gambe scivola via all'improvviso e mi lascio cadere a terra come un peso morto, mentre sento una strana energia farsi strada dentro di me.
Il mio sguardo ricade sulle mie mani, ora illuminate da una luce violastra, che fa allontanare di qualche passo i dottori intorno a me.La mia migliore amica se n'è andata.
Non riesco a smettere di pensare e la paura prende il sopravvento in me, mentre, tra i singhiozzi sempre più irregolari, percepisco di non potermi controllare ancora per molto.
La sirena d'emergenza inizia a suonare e nei corridoi la confusione aumenta, segno che stanno evacuando la struttura, mentre io alzo lo sguardo su Jen un'ultima volta.
Nella mia mente scorrono mille immagini di quanto io e Jen eravamo piccole, delle nostre avventure, i nostri segreti, la sofferenza che abbiamo condiviso, e alla fine non sento nient'altro che dolore, così grido con tutta la mia forza fino a non avere più fiato.I vetri delle finestre nella sala si rompono in mille pezzi e io non riesco più a capire nulla, sento solo delle braccia che mi avvolgono e mi stringono forte.
Quando riacquisto lucidità, riapro lentamente gli occhi e due pozze blu mi squadrano con aria preoccupata, quindi realizzo di essere tra le braccia di Steve, che aveva cercato di attenuare l'impatto dell'energia sulla struttura.
Dopo pochi secondi ricambio il suo abbraccio e, per sfogarmi, sprofondo nel suo petto coperto dalla divisa, mentre altre voci in lontananza vengono verso di noi.
«Sei ferita?»
Mi chiede, staccandosi da me e controllando se avessi dei tagli nelle parti scoperte del mio corpo.«No»
Rispondo secca e io stessa non riconosco la mia voce, spenta e roca, che mi fa rabbrividire.
«Ehi guardami, sono qui, andrà tutto bene»
Dice il biondo e intanto Wanda, Nat e Tony ci raggiungono.
«Keira stai bene?»
Poso lo sguardo su di loro, poi di nuovo sulle mie mani e infine su ciò che ci circonda.
«Ma cosa ho fatto?»
«Shh, va tutto bene, ora ti riportiamo a casa»
Mi dice Nat, inginocchiandosi davanti a me.
«Io non ho più una casa»
Sussurro, mentre i due davanti e me si guardano e cala il silenzio più assoluto: si sente solo il rumore delle luci sul soffitto che lampeggiano, ormai rotte.**
STAI LEGGENDO
The old man I'm in love with
FanfictionA New York è una giornata normale per Keira, una ragazza dai capelli castani e occhi smeraldo: dopo aver bevuto la sua tazza di caffè, come tutti i giorni si reca al lavoro, in quell'ufficio con vista sulla città che tanto amava. Ma da quel giorno n...