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23 settembre.

Sono solo le sette e dieci del mattino quando mi sveglio.
Faccio una rapida colazione e poi mi vesto indossando un pantaloncino di tuta e una maglietta bianca, metto le scarpe, prendo il telefono, il portafoglio con qualche banconota e le chiavi di casa insieme a una borsa tracolla ed esco.
Ho deciso di andare a correre un po' per non pensare a quello che è successo ieri sera.
Mentre inizio a correre, mi tornano in mente le parole di Jennifer, e durante la corsa, salgono anche le lacrime agli occhi.
Non credevo di poterci stare cosi male. Non sono la persona che lei ha descritto, ma mi fa male che lei anche solo abbia pensato quelle cose.
Tra le lacrime, mentre corro, per sbaglio sbatto contro un ragazzo.
Entrambi cadiamo per terra, il suo caffè si rovescia completamente su di me e su di lui.
«Ti sei fatta male?» chiede mentre si rialza.
Faccio di no e afferro la sua mano tesa verso di me per aiutarmi ad alzarmi.
«Scusa...» dico, mentre lui prende dei fazzoletti sul tavolino vicino a noi.
«È tutto ok tranquilla.» mormora, mentre mi pulisce la maglia.
«Ti sanguina il ginocchio. Aspetta qui.» dice e lo vedo entrare nel bar.
Torna poco dopo con la cassetta del pronto soccorso per disinfettarmi la ferita per poi metterci una garza.
«Ti ringrazio. Mi dispiace molto per il casino.»
«Non preoccuparti davvero. Sei nuova? Non ti ho mai vista.» dice mentre mi fascia il ginocchio.
«Si. Non sono mai stata in Italia. In realtà non so nemmeno perché sono qui a dire la verità.
Ne sono uscita viva da un incidente aereo, ma con forte trauma cranico, e ricordo davvero poche cose.» dico, mentre mi alzo in piedi.
«Accidenti! Sei stata molto fortunata.» annuisco, mentre entro con lui nel bar.
«Non ci siamo presentati. Io sono Riccardo. Lei è Corinne, la mia collega.» sorridono entrambi, soprattutto lui mentre pulisce il bancone e lei esce con un vassoio per servire ai clienti.
«Beatrice.» sorrido a mia volta e chiedo se può darmi un bicchiere d'acqua.
Mentre pago e faccio per uscire, Riccardo si offre di accompagnarmi a casa.
Appena arrivo davanti al portone, lo ringrazio e lui con fare gentile, mi chiede se possiamo scambiarci i numeri.
«Ti va se uno di sti giorni ci beviamo qualcosa insieme?» chiede.
«Quando vuoi.» e senza aggiungere altro, esco dalla macchina.
Quando entro in casa, trovo Alessandro sveglio in boxer che beve un caffè in cucina.
«Cristo santo. Credevo stessi dormendo. Dove sei andata?» esclama, lasciando la tazza nel lavandino e correndomi in contro.
«A correre, ma ho avuto un piccolo incidente. Nulla di grave, tranquillo.» esclamo, andando verso la mia camera.
«Aspetta.» la sua preoccupazione nella voce è palese.
«Cos'è successo?» dice appoggiando un braccio attorno la mia vita e il mio sulle sue spalle.
«Mentre correvo non ho visto un ragazzo che usciva da un bar e gli sono caduta addosso, facendo cadere il vassoio che aveva in mano con tutti i caffè. Mi ha medicata lui e mi ha accompagnata a casa.» esclamo mentre mi fa sedere sul suo letto.
«Capito.» dice e lo guardo mentre di veste.
«Magari la prossima volta dimmelo che vuoi andare a correre, così non mi fai prendere colpi di prima mattina.» ride lui mentre si abbottona i pantaloni.
Distolgo lo sguardo e mi alzo dal letto.
«Faccio una doccia.» dico, uscendo dalla stanza.
«La cassetta del pronto soccorso è nel mobile sotto al lavandino, se hai bisogno di fasciarti di nuovo il ginocchio.»
Annuisco e mi chiudo in bagno.
Mi spoglio e quando entro in doccia, sono sollevata nel sentire il suo saluto senza che sia entrata in bagno mentre sono nuda, anche... Ti ha già vista nuda, idiota! Urla il mio subconscio.
Alzo gli occhi al cielo e inizio a lavarmi.
Mentre scendo con il soffione, ripendo al momento con lui nella doccia.
Un calore lieve mi scalda le guance mentre nel basso ventre sto impazzendo.
Appoggio il soffione fra le cosce, appoggiandomi con la schiena al vetro della doccia.
L'acqua mi stuzzica dolcemente il clitoride e mi scalda l'intimità già calda di suo.
Muovo il bacino avanti e indietro mentre aumento il getto dell'acqua.
«Oh cazzo...» gemo e vengo, esplodendo di piacere.
Mi appoggio con le mani al vetro nella doccia e riprendo fiato.
Appena esco dalla doccia con l'accappatoio, vado in camera e apro un cassetto, infilandomi delle culotte bianche in pizzo.
Entro in camera di Alessandro e cerco una maglietta.
Ne scelgo una nera che quando la indosso mi arriva a metà coscia.
«Non gli dispiacerà se la prendo in prestito.» dico fra me e me.
Ha il suo profumo...
Vado in sala e mentre pulisco, decido di ascoltare un po' di musica.
Con il bluetooth connetto il mio telefono a delle casse e alzo la musica a palla, ascoltando delle canzoni di Ed Sheeran, soprattutto Dive, Thinking Out Loud, Photograph e All Of the stars, cantandole tutte quante.
Qualcuno suona alla porta e corro ad aprire, ma me ne pento subito quando vedo che è Jennifer.
«Potresti abbassare la musica? C'è qualcuno che lavora qui. Non come te che ti stai facendo mantenere da lui, e vivi a scrocco a casa sua.» esclama, incrociando le braccia davanti a se e spostando il peso dalla gamba sinistra a quella destra.
Annuisco e faccio per chiudere la porta, ma lei mette il piede per fermarmi dal chiuderla fuori.
«Perché indossi la sua maglia?» esclama, squadrandomi da capo a piedi. Si capisce dal suo tono di voce che è gelosa.
«Me l'ha regalata lui.» mento e continuo dicendo «insieme a queste» dico alzando la maglia per mostrare le culotte.
Jennifer è diventata rossa come un peperone e sta serrando la mascella e i pugni lungo i fianchi.
«Ora scusami, ma sarà meglio che tu te ne vada.» dico facendo un passo verso di lei.
«Perché sennò che fai? Corri dalla mamma a piangere? Sei solo una povera illusa in cerca di soldi facili, e anche un po' troia.» la rabbia prende il sopravvento. Le tiro uno schiaffo facendola finire con la faccia contro il muro.
«Testa di cazzo!» dice alzando la testa per non far uscire il sangue dal naso.
«Non osare più nominare mia madre stronza! Tu non sai niente di me. Ora vattene da qui!» urlo e sbatto la porta.
«Io ti ammazzo! Sei una puttana!» urla a sua volta, tirando pugni alla porta, sentendola poi scendere le scale.

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