13.

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25 dicembre

«È Natale!»
«Si piccola, è Natale! Vieni a vedere fuori!» dice la mamma.
Scendo al piano di sotto e insieme a lei, corriamo in giardino.
«La nerve!» urlo mentre inizio a fare un pupazzo di neve con la mia mamma.
«È bellissimo piccola! Corri a chiamare papà, facciamogli vedere la nostra opera.» dice lei, mentre io salgo i gradini che conducono alla porta di casa.
«Papà papà! Vieni a vedere cos'abbiamo fatto io e la mamma!» lui si alza dal divano, posa sul tavolino davanti a sè il giornale che stava leggendo e mi corre incontro.
Prende la sua giacca appesa all'appendiabiti ed esce con me.
«È bellissimo. Brave!» dice prendendomi in braccio, camminando vero la mamma.
Bacia me sulla guancia, e poi lei sulla bocca, mentre guardiamo la neve soffice che non smette di cadere dal cielo.
Quando torniamo in casa, mi tolgo subito la giacca, i guanti e il cappello per poi correre davanti l'albero pieno di luci e palline colorate, per scartare i regali.
«Grazie mamma, grazie papà!» urlo, mentre ammiro la mia nuova barbie.
«Ti amo tesoro mio.» dice la mia mamma mentre mi tiene in braccio e mi stringe forte.

«Papá, andiamo fuori a fare un pupazzo di neve?»
«No.»
«Ma... Con la mamma li facevo sempre.» sussurro, dondolandomi sui talloni, tenendo le braccia incrociate.
«La mamma non c'è più!» urla, alzandosi cosi velocemente dalla poltrona che questa si rovescia sul pavimento, con un tonfo fortissimo che rimbomba nella stanza.
«Ma io... Oggi è Natale.»
«È un giorno come un altro. Non ho tempo da perdere con queste scemenze.» mormora, chinandosi a raccogliere la poltrona.
«Quando c'era la mamma...» sussurro. Non riesco nemmeno a finire la frase che la sua mano finisce sulla mia guancia, con forza.
«Non voglio più sentir nominare quella persona. Non esiste più!
Ficcatelo in testa. Lei. È. Morta.» sbotta lui e prende la birra sul tavolo per poi tornare seduto.
Mi massaggio la guancia dolorante e corro in camera mia.
Guardo dalla finestra il cielo e la neve che scende piano.
Mi asciugo le guance bagnate di lacrime e mi siedo sul letto, prendendo il mio orsetto di peluche.
Fa sempre così quando beve.
Non è più l'uomo che giocava e disegnava con me quando c'era la mamma. Ora beve sempre. Di giorno bene e la notte lo sento spesso piangere di nascosto.
Quando scendo di sotto, lui si è addormentato sulla poltrona.
Vorrei chiamarlo ma evito. Torno in camera e mi metto nel loro letto, al posto di mamma.
Sul cuscino mi sembra ancora di sentire il profumo dei suoi capelli e della sua pelle.

Mi sveglio di soprassalto in un letto che non riconosco. Guardo l'ora e vedo che sono le quattro di notte. Fuori, si sente il rumore della pioggia.
Quando mi giro, vedo Mark dormire sereno e mi ricordo di tutto quello che è successo.
Gli sposto una ciocca di ricci che gli ricade sulla fronte e gli accarezzo una guancia, sfiorandolo appena.
Mi alzo, prendo il telefono dalla borsa ed esco in corridoio.
Quando accendo il telefono, trovo tantissimi messaggi da parte di Alessandro e infinite chiamate perse.

«Ti prego perdonami...»

«Torna a casa, per favore...»

«Ti amo. Lo sai che ti amo... Ti supplico torna.»

E così via. Un'interminabile serie di messaggi di suppliche e "ti amo".
Mi tremano le mani quando sto per digitare il suo numero, mentre percorro il corridoio fino alla fine, per poi tornare indietro.
Non farlo! Non chiamare! Cretina!
Mi urla il mio subconscio, ma è ormai è troppo tardi, perché ho già premuto il tasto della chiamata, dopo aver digitato il suo numero.
Al primo squillo risponde.
«Pronto? Pronto Bea?» esclama lui agitato e dalla voce capisco che stava dormendo.
«Ella.» lo correggo.
«Ella...» sussurra «ti prego, torna a casa. Ho bisogno di parlarti.»
«Perchè mi hai mentito?» sbotto e la mia voce rimbomba nel lunghissimo corridoio.
«Ti supplico, torna a casa. Ti dirò tutto.» mi implora lui ma io non cedo.
«O parli adesso o me ne vado.»
«Dimmi dove sei.»
«Non sono affari tuoi. Mi vuoi dire perché mi hai mentito? Abbi le palle di dirmi la verità!
Mi ha detto tutto una donna che ti sei scopato... E tu, non hai avuto il coraggio di dirmi in faccia la verità. Perché mi hai fatto questo? Perché?» urlo e tiro un pugno al muro.
Il gemito di dolore che mi sfugge lo sente anche lui al telefono. Cazzo!
«Che hai fatto?»
«Niente. Parla, cazzo!»
«Se devi sapere la verità, tanto vale dirtela a viso aperto.
O vengo io da te, o vieni tu da me. Scegli.»
«Arrivo.» dico e chiudo la chiamata.
Quando rientro in camera, Mark sta ancora dormendo.
Mi rimetto il vestito che stando sul termosifone della camera si è asciugato e mi infilo le scarpe col tacco della sera precedente.
Mi avvucino a Mark e mi piego, lasciandogli un piccolo bacio sulla fronte coperta dai ricci.
Mi infilo la giacca, prendo la borsa e cercando di non far rumore, esco dalla stanza.

Quando arrivo a casa di Alessandro, ha finalmente smesso di piovere.
Salgo i gradini con straziante lentazza, finché non arrivo davanti la porta di casa sua.
Infilo la chiave nella serratura e apro la porta.
Appena entro e mi richiudo la porta alle spalle, lascio cadere la borsa sul pavimento, insieme ai tacchi che mi tolgo sfinita.
«Ella!» Alessandro esce dalla sua stanza e mi corre in contro ma io alzo una mano per fermarlo.
«Parla.» dico incrociando le braccia davanti a me.
Lui annuisce e va a sedersi sul divano.
«Quando ti ho conosciuta, tu eri in coma. Immaginavo che avresti avuto un forte trauma. Non volevo approfittarne...» prende fiato e continua «ma averti vista è stato come... Un raggio di sole dopo tanta tempesta. Non sapevo che mi sarei innamorato di te.» le lacrime mi riempiono gli occhi ma le ricaccio indietro dicendo «va avanti.»
«Volevo dirtelo da quando sei entrata in casa mia. Davvero... Ho sempre voluto dirti la verità.»
«Allora perché non l'hai fatto?»
«Se l'avessi fatto... Te ne saresti andata. E io non volevo questo.
Io ho bisogno di te, di averti accanto. Non mi sono mai aperto con nessuno come con te.»
«Avresti dovuto dirmelo subito. Ti sei tenuto questo segreto per quattro mesi. Quattro! Non due giorni. Quattro. Mesi.
Se Mark non mi avesse mai trovata?» dico avvicinandomi a lui.
«Saresti rimasta Beatrice Penna. E saresti rimasta la mia ragazza.» finisce la frase in un sussurro.
«Non ci posso credere...»
«Avevo paura di perderti. Non mi sono mai fidato di nessuno, mai confidato con nessuno. Solo con te Bea.»
Lo fulmino con lo sguardo.
«Ella...» si corregge lui.
«Ed Elisa invece? Quando è arrivata?»
«È un'amica di famiglia, oltre ad essere una collega. Non credevo venisse, da Milano a Napoli.»
«Se non fosse venuta...»
«Te lo avrei detto. Ma non ha significato niente. È successo tutto in quei giorni che stavo male di notte. O che avevo bevuto...» si passa le mani sul viso.
«Quante volte avete fatto sesso?»
«Tre volte...»
Resto in silenzio perché non ha finito di parlare «è stata solo una distrazione.»
«Distrazione? Da cosa? Da noi?
Se non volevi stare più insieme, potevi dirlo. Non mi sarei buttata dal balcone di casa tua, puoi star tranquillo di questo.» esclamo a voce alta.
«Lo so che ho sbagliato. Ti chiedo di perdonarmi. Ti prego...
Ho mentito solo per paura.»
Batto con forza il piede per terra e urlo con tutta l'aria che ho nei polmoni «così facendo, mi stavi portando lontano da mia figlia!»
Alessandro solleva la testa di scatto e si alza in piedi.
«T-tu hai una figlia?»
«Si. Certo non sarà difficile da mandare giù che io sia già fidanzata, con una figlia e sul procinto di sposarmi!» le mie urla rimbombano in tutto l'appartamento.
«Non ha importanza questo. Tu sei la mia ragazza, adesso.» fa un passo verso di me, io ne faccio due indietro.
«Non ha importanza? Non ha importanza?? Visto che non consideri importante questo piccolo dettaglio, ti dirò io cos'è importante, per me.» fa per rispondermi ma io alzo una mano per zittirlo e continuo dicendo «io sono una mamma e una fidanzata. Non potrai mai competere con mia figlia. Lei, è più importante di te.
Io ti ho voluto bene, davvero Alessandro. Ma hai superato ogni limite. Mi hai ferita, tradita, ingannata e mentito. Mi stavi portando via la persona più cara per me... Mi stavi portando via mia figlia. Mia. Figlia.
Per te non sarà importante, ma lo è per me. Quindi adesso, io, me ne vado.» e concludendo la conversazione, vado nella mia vecchia stanza per preparare la valigia.
Il borsone che trovo nell'armadio fortunatamente è abbastanza grande per contenere tutti gli indumenti che ho. Dopo i vestiti passo alle scarpe che non sono tante, e per concludere, metto gli oggetti presi da casa di mia nonna.
Mi tolgo velocemente il vestito che ho addosso e infilo rapidamente un jeans nero e un maglione color senape, insieme alla giacca.
Infilo le scarpe da ginnastica e prima di chiudere il borsone, controllo di aver preso tutto.
Quando esco dalla stanza, Alessandro non è più in soggiorno.
Mi guardo in giro e vedo la porta del balcone aperta.
«Mi dispiace...» esclama quando mi avvicino a lui, seduto su una sdraio.
Senza dire una parola gli appoggio una mano sulla spalla e dico «anche a me.»
Lui mi afferra la mano facendomi cadere il borsone a terra e mi porta in casa, facendomi appoggiare con la schiena alla parete e entrambe le braccia sollevate sopra la testa, tenute dalla sua mano.
«Ti prego...» mi sfiora la gola con la mano, il petto, il seno, fino ad arrivare ai miei fianchi.
«Lasciami... Per favore. Non rendere il tutto più difficile.» esclamo in un sussurro.
«Dimmi che non mi ami, e io ti lascio.» dice lui, a un millimetro dalla mia bocca.
«Io...» prima che possa finire la frase, la sua bocca è sulla mia.
«Ho bisogno di te...»
Prendo fiato e a malincuore dico fissandolo dritto negli occhi «hai bisogno di qualcuno che ti ami Alessandro. Io, non ti amo.» mento.
Lui lascia la presa e crolla in ginocchio davanti a me.
Recuperaro il mio borsone e senza voltarmi indietro, esco da quella casa.

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