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15 settempre.

Attorno a me, c'è solo uno forte luce accecante.
Inizio a camminare in una lunghissima stazione di un treno, ma a terra, non ci sono binari.
«Ciao bambina mia.» sento dire alle mie spalle.
«M-mamma?»
Sono confusa... Sto sognando?
«Si Ella, sono io.»
Nonostante senta le mie gambe pesantissime, corro verso di lei per abbracciarla.
«Ma cosa...» invece di stringerla a me, le mie mani le passano attraverso.
«Amore della mamma, io sono morta lo sai. Non puoi toccarmi.» mi ricorda lei.
La sua voce è sempre la stessa, i suoi occhi limpidi come il mare.
Sento anche il suo profumo, lo stesso dell'ultimo giorno della sua vita, poco prima che morisse.
«Tu... Tu sei viva. Io ti vedo. Sei qui, davanti a me.»
Lei mi sorride gentile, fa per accarezzarmi la guancia ma quando la sua mano fa per toccarmi, non la sento posarsi sul mio viso.
«Sono morta anch'io mamma?»
«No amore, tu non sei morta.» dice, mentre io mi stringo nervosamente il braccio.
«Lo so che vorresti stare con me piccola, ma lo sai che devi tornare. Non è ancora il tuo momento. Non è il tuo posto questo qui, figlia mia.» mormora lei, mentre le lacrime iniziano a rigarmi le guance.
«Io voglio restare con te...» dico singhiozzando.
«Ci vedremo ancora, sta tranquilla. Però, ora devi tornare. Vedi laggiù?» chiede, e io annuisco.
«Appena arriva, prendi quel treno e torna indietro. Mi raccomando, prendi questo treno, perché è l'ultimo in questa stazione.» annuisco mentre mi asciugo le lacrime.
«Non sai quanto mi manchi mamma...»
«Piccola mi manchi anche tu. Ci rivedremo ancora, te lo prometto.»
Mentre alzo gli occhi, lei è sparita.
In lontananza questo treno avanza sempre di più finché non arriva davanti a me.
Mi guardo intorno, ma non riesco più a vedere mia madre...
Salgo su questo treno e subito si chiudono le porte.
Quando mi giro, lei è alla fermata che mi saluta con un sorriso dolce.
Inizio a tirare pugni alle porte, urlando di farmi scendere ma ormai sta partendo.
Corro per tutto il vagone per rivederla ma non si vede più...

Aprendo gli occhi, in una stanza dalle pareti celesti, vedo due persone.
Un ragazzo e una ragazza, con dei fogli in mano che parlano vicino alla finestra.
Ma dove accidenti sono?
«Ben svegliata. Dormito parecchio eh.» esclama il ragazzo avvicinandosi al mio letto.
«Ma dove sono?»
Faccio per alzarmi ma lui subito mi ferma.
«È in ospedale.» esclama.
Lo guardo un po' confusa. Ma che ci faccio qui?
Distrattamente leggo il cartellino del nome della sua collega, mentre lui mi parla.
"Beatrice..."
«Per via dell'incidente è normale che si senta disorientata. Ha avuto un forte trauma cranico.
È stata la sesta superstite che è uscita da quell'aereo, viva per miracolo.
È stata molto fortunata.» spiega, mentre nella mia testa inizio a sentire delle urla di persone.
«Purtroppo le tue cose sono andate perse, quindi non siamo riusciti a trovare qualcosa per scoprire il suo nome.»
«Ah.» e ora che faccio?
«Si ricorda il suo nome?» chiede lui e istintivamente annuisco.
«Beatrice.» deglutisco a fatica.
Non potevo dire che non lo ricordo... Mi avranno già rivoltata come un calzino in questo ospedale. L'unico nome che mi è venuto in mente è quello della sua collega...
«Ricorda il suo cognome?»
Mi guardo intorno mentre lui scrive qualcosa sulla mia cartella clinica.
"Le penne nel suo taschino!" mi urla il mio subconscio.
«Penna.» esclamo e lui annuisce.
Faccio un respiro di sollievo e cerco di alzarmi.
«Deve restare a letto. È stata in coma per diversi giorni, è molto debole.»
Appena appoggio i piedi per terra, mi rendo conto che non ho la forza nemmeno di alzarmi, e sbadata come sono cado addosso al medio.
"Brava! Impranata..."
«Si sente bene?» mi chiede lui tenendomi.
«Si... Vorrei solo andare al bagno.»
«Non si preoccupi, le hanno messo un catetere.»
Lo guardo scioccata e schifata al tempo stesso.
«Stia tranquilla, chiamo l'infermiera di prima per farglielo togliere. Resti seduta qui.» esclama lui mentre esce dalla stanza.
Dopo che l'infermiera mi ha tolto il catetere e io sono andata in bagno, inizio a camminare nervosamente per tutta la stanza. Le gambe mi fanno male, e ogni tanto mi siedo sul letto.
«Come si sente?» esclama il medico, sbucando all'improvviso dietro di me.
«Bene, un po' dolorante. Mi chiedevo solo quando potrò uscire da qui.» dico, camminando per andaare verso la finestra.
«Non si preoccupi. Passerá tutto, e molto presto potrá uscire da questo ospedale.» dice, mentre io guardo il tramonto fuori.
«Lei dove vive?» mi chiede.
E chi si ridora?!
«Non lo so... Che città è questa?»
«Milano, una città dell'Italia. Dal suo accento, deduco sua inglese, o forse americana.» dice lui che mi segue mentre ritorno sul letto a sedermi.
«Ho la testa che mi scoppia...»
«È normale per via del trauma. È normale anche la perdita momentanea della memoria. Fará della terapia per ricordare tutto, con calma. Ci vorrá del tempo però.» mormora lui, sistemandosi maniacalmente il nodo della cravatta.
«Ah, dimenticavo! Io sono Alessandro.» e nel parlare mi tende la mano.
«Piacere mio.» lui sorride mentre ci stringiamo la mano.
«Emh...» imbarazzata ritraggo la mano e mi sdraio sul letto dicendo «vorrei riposarmi un po'.»
Lui annuisce e mentre esce dice «accanto al suo letto c'è un pulsante. Se ha bisogno di qualcosa lo schiacci e arriverá subito l'infermiera. Vuole cenare prima di dormire?» mi chiede lui.
Che premuroso! Già lo adoro!
«Zitto idiota! Fa solo il suo lavoro!» surrurro al mio subconscio.
Oddio... Oltre smemorata mi prenderá anche per pazza se mi sente parlare da sola!
«No, grazie. Non ho fame.»
Mentre mi giro dall'altra parte sento i suoi passi e poi il chiudersi della porta.
Chiudo gli occhi, nonostante abbia un po' mal di testa ma meno rispetto a prima e piano piano mi addormento.

«Ella? Svegliati Ella. Sono la mamma. Te lo avevo promesso che ci saremmo riviste.
Lo so lo so, vuoi uscire da qui, però devi dare ascolto ai medici e non sare di testa tua, come la solita testarda che sei.
Si so anche che appena ti sveglierai non ricorderai nulla, ma il vantaggio di apparire nei sogni, è che nulla di quello che vedi è reale.
Ma nonostante tu stia sognando, io resto sempre la tua mamma.
Ricordi quel viaggio a Venezia che abbiamo fatto quando hai compiuto otto anni? È stato lì che ti sei fissata con l'Italia.
Nonostante io sia nata qui ma cresciuta in America, non significa io non tenga alla mia cittá. La mia bellissima Napoli.
La casa dei tuoi adorati nonni è ancora lì, anche se non ci vive nessuno da quando sono morti.
Te li ricordi i tuoi nonni piccola?
Beh... Sicuramente si, visto che volevi andare a caso loro, per questo sei partita. Te lo ricordi questo?
Beh... Spero tanto tu possa ricordare e andare a Napoli.
Non ti preoccupare per me, io sto bene. Sono sempre con te, non ti lascio mai.
So che non avevi un bel rapporto con il papà, dopo la mia morte, ma anche lui ti vuole bene da qui.
Ora devo lasciarti tesoro, sta per fare giorno, e tu hai dormito tanto. Non dimenticarti di me.
Ciao amore di mamma.»

La luce del sole che si vede dalle fessure della finestra mi danno fastidio.
Mi sento tutta strana. Ho sognato mia madre, ma non ricordo quasi niente... Ma so di averla sognata, nel suo vestito preferito celeste come i suoi occhi, e una coda alta con i suoi lunghi e biondi capelli mossi che le ricadevano sulle spalle.
L'infermiera mi porta un vassoio con del budino al cioccolato, un succo di frutta alla pera e dei farmaci.
Appena ho finito tutto, faccio per alzarmi dal letto ma come una scema cado per terra.
«Si è fatta male?»
E ti pareva! Non potevi non cadere ai piedi di questo medico ovviamente! Che figo di prima mattina...
Alzo gli occhi al cielo e faccio per alzarmi.
«No. Scusi... Non l'avevo vista.» esclamo mentre lui mi aiuta ad alzarmi.
«Non si preoccupi. Ero venuto a vedere come stava. Ha dormito bene? Ha ancora mal di testa?»
Calmati fratello! Basta con questo interrogatorio.
«Dormito benissimo. Mal di testa sparito.» mento.
Lui sorride e incrocia le braccia davanti a se sul petto.
«Sicura?» chiede e io annuisco.
«Le sue occhiaie mi dicono il contrario.»
Maledizione! È arrivato Sherlock Holmes.
Mi stringo nelle spalle e ammetto di avere ancora mal di testa, e di aver dormito male.
Gli prometto che non mentirò ancora... O almeno ci proverò.
Per l'ora di pranzo decido di accendere la TV e guardare un programma di cucina.
«Appassionata di cibo?»
Ma perché deve apparire sempre così dal nulla? Che ansia, accidenti!
«Annoiata più che altro.»
«Ho chiesto a le altre mie colleghe se avevano dei vestiti che magari non indossavano più, così le ho rifatto il guardaroba, visto che sennò ha solo il camice dell'ospedale. Dovrebbero essere più o meno tutti della sua taglia. Li provi, se vuole.»
Sorrido mentre lui appoggia sul mio letto una scatola con dentro diversi indumenti.
Lo ringrazio e gli chiedo di uscire.
Vedo una maglia bianca con un pantalone blu e decido di indossarli.
La maglia mi va un po' larga ma il pantalone è perfetto.
«Le sta molto bene.» esclama Alessandro dietro di me.
Sussurto e per girarmi di scatto scivolo ma lui mi prende.
«Sbadata come sempre.» sghignazza lui.
Mi stacco dalla sua presa e mi ricompongo.
«Emh... Grazie.»
Lui sorride ed esce di nuovo dalla stanza.
Perché sono così imbranata sempre quando c'è lui?
Dannazione!

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