5.

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24 settembre.

Il leggero vento della sera è piacevole sulla pelle.
Riccardo parcheggia lungo una via piena di alti edifici e per il resto della strada, camminiamo insieme.
Per circa dieci minuti di passeggiata non dice una parola.
Alla fine, decido di rompere il ghiaccio dicendo «grazie ancora per oggi. Spero che il tuo capo non ti abbia fatto qualche ramanzina. Alla fine è stata colpa mia... Scusa ancora che ho rotto le tazzine.» dico toccandomi nervosamente i capelli.
Lui mi sfiora il braccio e dice in tono pacato che è tutto ok.
«Anzi, siamo a corto di personale. Tu hai esperienza come barista?» mormora mentre ci sediamo su una panchina.
Scuoto la testa per dire no e accavallo il ginocchio sbucciato sopra l'altro.
«Però posso imparare senza problemi. Ho bisogno di un lavoro disperatamente. Se siete a corto di personale...» lui sorride e mi sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio dicendo «domani parlerò al mio capo. Lo convincerò per farti fare una prova.» esclama e gli salto praticamente addosso abbracciandolo per ringraziarlo.
Sorride timido e io arrossisco imbarazzata.
«È da molto che sei qui a Milano?» esclama.
La sua voce è morbida, i suoi occhi azzurri come diamanti mi guardano, così maledettamente incantevoli e curiori, mi scrutano da sotto le lunghe e folte ciglia.
«Da poco. Tu invece?» rispondo.
«Sono nato in Toscana a Firenze, da una mamma siciliana e un papà fiorentino. All'età di due anni, la mia famiglia si è trasferita a Roma. A diciotto anni me ne sono andato di casa, andando a vivere in un monolocale con altri tre coinquilini. Ho viaggiato molto per lavoro. Ho vissuto per tre anni a Berlino, poi Londra e Parigi. Alla fine però ho deciso di tornare in Italia e di venire a vivere a Milano.» ascolto il suo racconto affascinata dalla sua parlantina e spontaneità e semplicità.
«Amo viaggiare. Ho sempre fatto il barista, o il commesso. Adoro il contatto con le persone. Anche se quando una ragazza mi cade addosso, è difficile dire di no, nonostante sia timido come persona.» esclama facendomi l'occhiolino.
Divento paonazza e scoppio a ridere per l'imbarazzo.
Dopo qualche istante mi chiede
«Hai delle passioni?» chiedo, accavallando le gambe.
«La musica, la fotografia, lo sport e la letteratura. Pratico surf da qualche anni. Poi ho fatto equitazione, calcio e nuoto. Ma lo sport che preferisco in assoluto è il surf. Il mio sogno è andare a vivere alle Hawaii.» mormora e lo vedo sorridere, mentre sogna ad occhi aperti.
«Come mai stavi piangendo prima?» domanda di getto.
Gli racconto tutto quello che è successo omettendo le parti più "hot" della serata.
Lui mi osserva e tiene un braccio sulle mie spalle in modo molto dolce.
«Mi dispiace molto. Sono sicuro che tu gli piaci.» dice con un sorriso tirato sulle labbra poi continua «ma forse non è pronto per una relazione seria. Magari vuole solo divertirsi, non saprei. Per averti ospitata a casa sua però, non penso voglia solo una storia di una notte. Una botta e via e tanti saluti.» e nel parlare mi viene una fitta al petto al pensiero che forse lui con me voglia fare solo sesso.
«Non so cosa pensare...» dico mentre mi passo nervosamente le mani nei capelli.
Guardo l'ora è vedo che si sono fatte le due di notte.
«Ti accompagno a casa.» esclama lui prima che io possa formulare la domanda a voce. Mentre camminiamo per andare alla macchina, le nostre mani si sfiorano tutto il tempo ma nessuno dei due osa tenersi per mano.
Appena arriviamo sotto casa, vedo che la luce di casa di Alessandro è ancora accesa.
«Grazie per la serata. Fammi sapere cosa dice il tuo capo.» annuisce e mi da un lieve bacio sulla guancia.
Sorrido e scendo dalla macchina.
«Buonanotte.» dico poco prima di aprire il cancello.
Quando entro in casa, trovo Alessandro sdraiato sul divano ad angolo della sala a guardare la tv, indossando solo una maglietta nera e dei boxer bianchi.
Lo sento sussultare quando entro in casa, chiudendomi la porta alle spalle.
Senza guardarlo, vado in cucina per bere un bicchiere d'acqua.
«È andata bene la serata?» mi chiede restando a guardare la tv.
«Mh mh.» mormoro mentre poso il bicchiere nel lavandino.
Si alza dal divano e lo vedo venire verso di me.
Alzo una mano per fermarlo e senza guardarlo lo oltrepasso. Lui mi afferra per una mano e mi tira a sè. Cerco di divincolarmi dalla sua presa ma mi tiene ferma.
«Mi dispiace per quello che ho detto prima Bea. Non lo pensavo davvero.» esclama in un sussurro. La sua bocca è a pochi millimetri dalla mia.
«Non sono sicuro di essere l'uomo del quale la tua anima ha bisogno. Non sono sicuro che con me staresti bene, bene davvero. Non sono di essere il "principe azzurro" delle favole che tutte le donne vogliono. Ho paura che stare con me ti porterà in un vortice di tenebre, in un abisso troppo oscuro del quale sarà difficile uscirne, per colpa mia e della visione distorta che ho dell'amore, e per il mio passato orribile. Non sono sicuro di essere quello giusto per te...» dice in un sussurro, accarezzandomi il labbro inferiore con il pollice per poi continuare «...ma allo stesso tempo non riesco a non pensare a te. Non riesco a non guardarti. Non riesco a non volerti. Non riesco a smettere di desiderarti. Non voglio ferirti... In nessun modo. Ti voglio Beatrì, più di qualsiasi altra cosa.» il mio cuore martella all'impazzata. Il suo sguardo mi paralizza. Mi confonde. Mi scruta e osserva ogni mio movimento. Mi ipnotizza.
«Ho solo paura che tu te ne vada se sapessi la mia storia...» il suo alito che sa di menta è come una carezza sulle mie guance, mentre mi tiene il viso fra le mani, a pochi millimetro dal suo.
«Il mio passato di merda che ancora adesso mi perseguita. Del quale la notte non riesco a liberarmi...»
La sua voce è un sussurro, rotta per le lacrime.
Il suo dolore mi colpisce dritta al cuore. Cosa potrà mai essergli capitato di tanto brutto?
«Vuoi parlarmene?»
«Non ci riesco...» si stacca da me con lo sguardo basso e torna a sedersi sul divano.
«Non voglio la tua pietà, tanto meno la tua compassione.» risponde freddo e distaccato.
I suoi occhi celesti, vuoti e freddi come il ghiaccio, fissano il televisione nonostante ora sia spento.
Senza dire una parola vado in camera ma lascio la porta aperta.
Mi metto dei pantaloncini con una canotta bianca e vado in sala con lui.
Apro il frigo e ne estraggo una bottiglia di vino rosso. Riempio abbondantemente un bicchiere e in un colpo solo lo mando giù tutto. Lo riempio una seconda volta e sento gli occhi di Alessandro su di me.
Al terzo bicchiere, Alessandro mi strappa di mano la bottiglia lasciandola sulla penisola della cucina.
«Non voglio che bevi cosi. Per sfogo.» mormora posando la bottiglia nel frigo.
«Non sono affari tuoi.» dico a denti stretti.
Lui mi prende per mano ma mi sposto di scatto, sbattendo con la schiena al bancone.
«Ti sei fatta male?»
«No.»
«Dormi con me stanotte.» esclama, accarezzandomi la guancia.
Gli tolgo la mano e lo oltrepasso dicendo «non sono così disperata, tranquillo.» e cammino per il corridoio entrando in camera mia.
Prima che possa chiuderla, Alessandro entra e mi prende le mani inchiodandomi al muro, con i polsi ai lati della testa.
«Lasciami!» urlo e cerco di liberarmi ma ovviamente è inutile.
«Guardami.» ordina. Ogni fibra del mio cervello si calma quando siamo occhi negli occhi.
«Non posso starti lontano Bea. Non voglio...» i suoi occhi...
Le sue pupille si dilatano mentre guarda i miei.
Appoggia la fronte alla mia e mi bacia la punta del naso. Un gesto così dolce che mi scalda il cuore.
«Ho bisogno di te...» la sua voce strozzata per le lacrime che sta trattenendo mi spezza il cuore.
Mi libera le mani e mi abbraccia.
Infilo le mani sotto la sua maglietta e gli accarezzo la schiena.
Al mio tocco, gli vengono i brividi sulla pelle.
«Sono così complicato Bea...»
Mi stacco da lui e gli accarezzo la guancia dicendo «sicuramente lo sono stata anche io nella mia vita. Quando ricorderò tutto, anche tu dirai che sono complicata. Sicuramente più di te.» gli sorrido e con il pollice gli cancella una lacrima che gli sta rigando la guancia.
Sorride nonostante le lacrime e mi bacia.
«La normalità è noiosa. Siamo tutti complicati. Siamo tutti diversi. È per questo che siamo speciali. Te lo immagini un mondo dove sono tutti uguali, precisi e perfetti? Nessuno senza uno scheletro nell'armadio o un demone che sta cercando di affrontare? Un mondo tutto uguale. Tutto grigio. Accidenti, che noia.» esclamo e ad Alessandro sfugge una risata.
Ci sdraiamo entrambi sul mio letto mentre lo ascolto parlare.
«I miei veri genitori sono morti in un incendio, quando io ero molto piccolo.» mormora, mentre mi culla nel suo abbraccio. «Bianca mi ha raccontato che sono stato in un orfanotrofio per circa due anni, poi mi hanno adottato. Non ricordo praticamente niente...» e mentre parla lo sento irrigidirsi nel ricordare.
«Mi hanno dato il cognome di Roberto e sono diventato Alessandro Scalzi.» gli accarezzo l'addome da sopra la maglietta e lo stringo di più a me.
«Alle elementari sono stato vittima di bullismo per molto tempo. Anche alle superiori... Tutto questo perché ero... Perché sono...» si irrigidisce di nuovo e io mi metto a sedere accanto a lui.
«Dimmi.» gli accarezzo il viso, lui non mi guarda.
«Perchè sono bisessuale.» cala il silenzio tra noi.
«Mi prendevano tutti di mira nella mia scuola. Maggiormente un ragazzo, il più popolare della scuola. Finivo sempre in qualche rissa. Poi un giorno...» mentre parla inizio a tremare e si porta le ginocchia al petto, stringendole con le braccia muscolose.
«Lo stesso ragazzo, nei bagni della scuola, ha abusato di me. Mi ha messo la testa nel water e nel mentre...»
Lo abbraccio forte e lo bacio.
Le sue labbra sono morbide al contatto con le mie.
«Quando ho cambiato scuola, sono cambiate le persone ma non i problemi. Venivo preso di mira lo stesso. Finchè poi non ho conosciuto Jennifer. Suo padre era il preside di quella scuola.
I problemi non sono del tutto spariti...ma diminuiti si. Mi ha aiutato molto.» dice e lo vedo rilassarsi.
«Quanti anni sei stato con lei?» e non riesco a nascondere la gelosia nel fare questa domanda.
«Quattro anni. Te l'ho già detto, ricordi?»
«Ah già, si ricordo.»
«Siamo sempre stati amici dopo la rottura. Ma è anche abbastanza impossibile non esserlo. Mia sorella è sua amica. Quindi o volere, o volare, l'ho sempre vista in giro.» spiega e io annuisco.
«Non sei uno che perdona un tradimento.»
«Chi perdona un tradimento è perché non ha le palle da ammettere a se stesso che nella vita ci si può innamorare di più persone. Non solo di una per tutta la vita. Quindi ci si lega così tanto a quella persona da autoconvincersi che sia tutto ok e dimenticare cos'è successo, e dimostrare che è possibile il perdonare. Ma in realtà, si perdona solo per paura. Paura di restare soli. Di non innamorarsi più, mai più. E io questa paura non ce l'ho. Conosco bene la solitudine...» e prima che possa finire la frase, lo vedo sedersi composto sul letto.
«Non ti spaventa la solitudine?»
«Chi in questo mondo non è solo? Se ci pensi, quando hai bisogno, nessuno si fa avanti... Nessuno ti aiuta ad uscire fuori dai guai. Nessuno ti riporta in superficie se stai affogando. Sono tutti bravi a dire "per te ci sarò sempre". Ma chi è che c'è davvero? Chi è che ti aiuta per amore di aiutare, e non per ricevere in cambio qualcosa?»
«Magari è una visione troppo negativa. Se tu fossi nei guai, io ti aiuterei. Non mi interessa di certo ricevere qualcosa in cambio, se non il tuo stare bene davvero.» esclamo, avvicinandomi di più a lui.
«Tornando al discorso di prima... Non ho avuto solo problemi a scuola. I problemi sono nati quando ne sono uscito.» mormora e si irrigidisce di nuovo.
«Ho iniziato a frequentare un bar ogni giorno, subito dopo l'università. Bevevo qualche birra... Qualche bicchiere di whisky, troppi bicchieri di whisky. Tornavo a casa sempre ubriaco. Ho anche distrutto due volte la macchina di Roberto. Che usato per uscire con i miei amici.» mormora.
«Perchè lo chiami Roberto e non "papà"?» chiedo confusa.
«Perchè lui non è mio padre. È solo l'uomo che ne fa da figura.
Non l'ho mai chiamato papà. Come non ho mai chiamato mamma Bianca. Ho smesso di chiamarli mamma e papà quando all'età di dieci anni mi hanno detto di essere stato adottato. Ormai ci hanno fatto l'abitudine.» spiega e poi dice «comunque... La cosa penso più difficile è che io sia stato un alcolista.»
Nella stanza è calato il gelo.
Il suo sguardo è assente. Spento. Senza vita. Quando gli accarezzo il braccio, non reagisce.
«Sono finito due volte in riabilitazione quando avevo circa vent'anni. Penserai che a quell'età, tutti i ragazzi bevono e fanno cazzate. Soprattutto gli universitari. Ed è anche vero» gli sfugge una risata ma poi si ricompone e continua «ma non tutti finiscono diverse volte in coma etilico.»
Sgrano gli occhi. Sono scioccata.
«Coma etilico?»
Annuisce ma senza guardarmi.
«All'inizio è stata molto dura. Poi sempre grazie all'aiuto di Jenn, ho smesso di bere. Mi ha sempre aiutato lei. Mi ha sempre...»
«Va avanti.» lo incoraggio.
«...mi ha sempre tirato lei fuori dal buio. Mi ha sempre portato lei fuori dall'oscurità, alla luce del sole. Alla luce in fondo al tunnel. C'è sempre stata Jennifer per me. Mi ha salvato molte volte, senza mai chiedere niente in cambio. L'unica persona del quale ancora adesso io mi fidi al massimo.»
Sento una fitta al cuore a sentirlo parlare di lei in quel modo.
Immagino che la loro storia sia stato un'amore travolgente. Che non si scorda facilmente.
«La ami ancora?» e dal tono della mia voce si intuisce che io sia triste.
«No. Ma non posso dimenticare quello che lei ha fatto per me. Non posso dimenticare...» prende un bel respiro e continua «ma è guardando il passato che riesco a decidere chi far entrare nel mio presente, e viverle nel futuro.»
«Quindi io sono solo momentanea. Passeggera...» mi si incrina la voce e mi asciugo le lacrime che mi rigano le guance.
Mi prende per il viso facendomi sollevare lo sguardo, e senza staccare gli occhi dai miei dice «tu sei il presente che voglio vivermi Bea. Voglio vedere cosa ci sarà in futuro.»
Annuisco, incapace di parlare.
«Hai mai avuto una storia con un ragazzo?» chiedo curiosa.
«Ai tempi della scuola. Mi sono frequentato con un mio compagno di classe ma poi non è finita bene.»
«Ah capito.»
«Tu invece? Quante storie d'amore hai avuto?»
Lo ammonisco con lo sguardo.
«Cazzo sono proprio stupido. Scusa. Mi sa che la terapia dovrò farla io che non mi ricordo niente.» esclama in una risata, toccandosi i capelli imbarazzato.
«Si forse dovresti.» gli faccio la linguaccia e in un attimo mi ritrivo sotto di lui con le gambe divaricate e i piedi incrociati dietro la sua schiena.
«Dovremmo dormire. Domani devo lavorare.» mormora, guardandomi negli occhi.
Mentre mi dice tutti gli impegni nella sua agenda, infila la mano sotto le mutandine e infila un dito dentro di me.
Gemo e mi stringo attorno al suo dito.
«Poi alle sedici e trenta ho una riunione con...» non lo ascolto più.
La sua voce roca e seducente da morire. Mi penetra a fondo con due dita mentre con il pollice massaggia il clitoride, con lenti movimenti circolari.
«Cazzo...» gemo e chiudo gli occhi.
«Perdi il controllo, abbandonati...» sussurra.
Bastano le due parole a portarmi al limice, esplodendo attorno alle sue dita.
Apro gli occhi e lo vedo abbassarsi appena i boxer per far uscire tutta la sua erezione.
«Sta uscendo l'alba adesso.» mormora al mio orecchio, mordendomi e succhiando il lobo, tirandolo piano tra di denti.
«Vieni.» dico, spostandimi da sotto di lui.
Lui mi segue e quando esco fuori dal terrazzo, lo vedo che mi guarda incantato. Stregato. Rapito.
Mi prende in braccio mentre mi tengo alla ringhiera, con la schiena appoggiata sopra e le mie gambe divaricate attorno a lui.
«Cazzo...» geme quando mi penetra senza nessuna barriera tra noi.
«Come si sta bene dentro di te piccola... Sei così stretta...»
«Ale.»
«Si?»
«Zitto e scopami.» bastano le mie parole a farlo tremare di piacere.
Mette una mano sul collo si spinge con colpi secchi dentro di me.
«Cazzo piccola...» stringo i muscoli vaginali e lo sento imprecare mentre spinge più forte.
«Dio...» lo bacio e mentre la mia lingua tocca la sua, un suono gutturale rimbomba fra noi.
Esplode dentro di me ed entrambi crolliamo sul pavimento.
«Cazzo Ale!» urlo mentre lui si insinua tra le mie cosce per leccarmi il clitoride e spingere dentro tre dita.
«Cazzo!» urlo e gli tiro i capelli.
Vengo nella sua bocca, urlando il suo nome.
Quando rientriamo in casa, ormai sono le sei di mattina.
Facciamo la doccia insieme ed entrambi ci mettiamo nudi nel suo letto per dormire.
Dopo circa due ore, sento la sveglia di Alessandro suonare.
«Vado a lavoro.» mi sussurra all'orecchio per poi stamparmi un casto bacio sulla fronte.
«Buon lavoro.» dico con uno sbadiglio per poi crollare di nuovo, con la testa sul cuscino che ha l'odore di lui.

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