16.

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31 dicembre.

Dopo la nostra notte di fuoco sulla spiaggia, il resto dei giorni qui in Italia li abbiamo passati tra monumenti come il Duomo di Napoli, il palazzo reale, la Basilica di San Francesco di Paola e il Castel dell'Ovo, e locali per divertici la sera.
Siamo stati sulla spiaggia fino all'alba, passeggiato sul lungomare guardando le stelle, fatto l'amore per ore in camera.
«Questa è per te.» disse il giorno che è uscito da un negozio in una via al centro di Napoli, mettendomi al collo una collana con una conchiglia dorata.
«È bellissima!» l'ho baciato a lungo e abbracciato.
«Piccola? Ci sei?» dice Mark, risvegliandomi dai miei pensieri.
«Si scusami. Dicevi?»
«Tra poche ore abbiamo il nostro volo. Sei sicura di voler partire?»
«Si, sono sicura.» dico chiudendo la mia valigia.
Prendo il telefono dalla borsa e dico «faccio solo qualche telefonata» ed esco dalla stanza.
Dopo aver telefonato al mio capo e aver spiegato tutta la storia, do le mie dimissioni a malincuore e li ringrazio tutto.
«No, non serve mi paghiate. Anzi, scusatemi...» dico per poi salutarlo, e ringraziarlo ancora e scusarmi di nuovo.
Chiamo Bianca e la saluto, dicendogli di salutarmi anche Lucrezia e Roberto.
«Alessandro come sta?» chiedo.
«Bene. Triste per quello che è successo. È davvero dispiaciuto.»
«Lo so. Dispiace anche a me che lui stia male» dico asciugandomi le guance bagnate di lacrime «io sto per partire. Torno a casa. Me lo saluti, ok?» chiedo.
«Certo tesoro! Fa buon viaggio. Torna a trovarci se vorrai, ci saremo sempre per te.» le si incrina la voce alla fine. Immagino stia piangendo.
La ringrazio e la saluto, chiudendo la chiamata.
Chiamo Riccardo ma non risponde. Provo a richiamarlo ma nulla.
«Che fine hai fatto...? Ti prego rispondi...» dico provando una terza volta, e finalmente risponde al terzo squillo.
«Pronto?»
«Sto per partire...» non riesco nemmeno a finire la frase che scoppio in lacrime.
«Lo so, anche io. Ho detto ai miei genitori e a mia sorella che ho trovato un lavoro all'estero. Sono stato molto evasivo a dir la verità. Mi sono licenziato ieri.
Ho dei soldi da parte da un po'. Basteranno per pagare l'affitto di un monolocale, almeno per un po'. Devi solo dirmi dove abiti di preciso.»
Sto sognando? Si, sto sognando. Sicuramente.
«Che cosa?» esclamo a voce alta.
La mia voce rimbomba per l'intero corridoio.
«Sei importante per me Ella. Pensavi davvero che ti avrei abbandonata? Siamo amici.
Non siamo semplici colleghi di lavoro, questo lo sai anche tu.
Ti voglio bene dal giorno in cui mi sei caduta addosso facendo cadere tutti i caffè.» scoppiamo a ridere. Una risata che per la prima volta dopo tanto tempo, mi arriva dal profondo del cuore.
«Sono senza parole, davvero. Non avrei mai immaginato che avresti fatto una cosa del genere, per me. Non sono importante e...»
«Ehi! Non sminuirti. Tu sei importante per me e molto. Un amico fa questo ed altro.»
Sono ormai in un bagno di lacrime quando ci salutiamo dicendo «ci vediamo presto».
Torno i camera e quando entro, Mark è in bagno a parlare al telefono.
«Tra poco partiamo. Non preoccuparti.» dice mentre esce dal bagno per poi chiudere la chiamata.
«Era mia madre, ci aspetta a casa. Anche Laura ti aspetta, non vede l'ora.» mi bacia sulla fronte e va a prendere le valigie.
«Laura?»
«La sorella di tua madre. Tua zia.»
«Ah, si giusto.»
Dopo essere uscito dall'hotel e aver pagato, in poco tempo raggiungiamo l'aereoporto.
«Va tutto bene?»
Annuisco e mi siedo ad aspettare che chiamino il nostro volo.
Mark si siede accanto a me e mi tiene la mano sinistra.
«Paura?» chiede.
«Non riesco a dimenticare quello che ho vissuto.» sussurro mentre mi passo nervosamente la mano destra nei capelli.
«Lo so piccola, lo so.»
Mi abbraccia mentre aspettiamo, e appena chiamo il nostro volo, dopo aver fatto tutti i soliti controlli, dopo un po', saliamo sull'aereo.
Appena ci sediamo ai nostri posti, una giovane donna da capelli scuri si siede nel posto libero accanto al mio.
Piano piano l'aereo inizia a diventare sempre più pieno di persone. Bambini, adulti, anziani.
«Sei contenta di tornare a casa?»
«Molto.»
«Devo dirti una cosa» esclama mentre mi giro a guardarlo.
«La casa dove abbiamo abitato... L'ho venduta. Prima che tu partissi, ci eravamo detto che saremmo andati a vivere a New york. Poi è successo quello che è successo... Ma qualche giorno dopo la tua partenza, ho venduto la casa come ci eravamo detti.
Ora, il nostro appartamento, è un attico situato nell'Upper East Side, all'undicesimo piano di un palazzo che affaccia davanti Central Park. So che avrei dovuto parlarne con te quando saresti tornata...» non lo lascio finire di parlare, mi avvento su di lui e lo bacio con foga.
«Non sei arrabbiata?» mi chiede e io scuoto la testa per dire no.
«Ti amo.» dico mentre lo baci ancora.
«La tua famiglia abita lì?» chiedo.
«Si, la mia città natale è New York. I miei non abitano tanto distanti dal quartiere dove andremo ad abitare noi.»

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