12.

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24 dicembre.

I pacchetti sotto l'albero non fanno che aumentare.
Il cibo non smette di essere preparato e le decorazioni sono sempre in aumento per tutta la casa di Alessandro.
Bianca è una cuoca fantastica.
È dalle due del pomeriggio che prepara la cena per questa sera.
Pesce di ogni tipo, carne, pasta e contorni vari.
Mi è stato detto che la cena inizierà alle nove questa sera e non so cosa mettermi per essere presentabile con la sfilza di parenti che saranno qui.
Metto a soqquadro l'intero armadio dei i miei vestiti senza però riuscire a farmi piacere qualcosa.
Mentre mi provo diversi abiti, Lucrezia mi mostra il suo outfit.
«Sarai bellissima. Io invece non so cosa mettermi...» esclamo lasciandomi cadere a peso morto sul letto con la testa sommersa dei cuscini.
«Perchè non metti questo?»
Mi giro, prendo l'abito che ha in mano e me lo provo.
Arriva a metà coscia, ha un degradé che va dal fuxia scuro quasi bordeaux, al beige chiaro ed è tutto tempestato di brillantini.
Accidenti! È stupendo!
«Wow... Sei splendida. Togli il fiato Bea!»
Bea...
Mi giro verso lo specchio per ammirare il mio abito.
«Il trucco ovviamente te lo farò io! Vieni, è tardi!» mormora afferrandomi la mano.
Mi trascina in bagno mi fa sedere sul water. Prende i trucchi e inizia con molto calma, ad apprilare l'ombretto sugli occhi, poi il mascara.
«Sul viso non ti serve il trucco. Beata te, hai la pelle perfetta. Maledetta.» dice mentre prende altri trucchi.
Mi viene da ridere ma cerco di trattenermi per non farla sbagliare.
Mentre continua la sua opera, ad un tratto mi chiede «va tutto bene fra te e mio fratello?»
«Si... Perché me lo chiedi?»
«Non lo so... Vi vedo diversi da quando siamo arrivati qui a Napoli. Magari impressione mia.
Spero sia tutto apposto tra voi.»
Si stacca un momento per prendere il rossetto dalla sua pochette di trucchi.
«È tutto ok...»
«Bea, non puoi mentire con me. Lo sai che ti sgamo ormai.
Che succede?» chiede lei, sedendosi sul bordo della vasca davanti a me.
«Penso che mi nascondi qualcosa...»
«Che cosa?»
«Non lo so... Penso che lui sappia chi sia io. Ma che faccia di tutto per non farmi ricordare.
L'altro giorno, quando sono andata a casa di mia nonna, ho trovato una lettera per me.»
«Una lettera?»
Annuisco e continuo «e a fine lettera, c'era scritto un'altro nome. E non era Beatrice.»
Nessuna delle due parla perciò continuo dicendo «quando ero in ospedale e mi chiese come mi chiamavo, inventai un nome di sana pianta, perché non lo ricordavo il mio. Mi è stato detto che non avevo nulla con me, che è andato tutto perso nell'incidente aereo. Ma non penso sia così. Ora, ho le prove che il mio vero nome sia un'altro. Ma lui non fa niente per aiutarmi in qualsiasi modo.»
Dopo qualche minuto di silenzio mi dice «segui l'istinto.»
Appena finiamo di prepararci, vedo che sono le sette e mezza di sera. Lucrezia è impeccabile mentre io mi sistemo i capelli un centinaio di volte.
Infilo i tacchi e dopo qualche minuto, Alessandro entra in camera.
«Sei stupenda. Non vedo l'ora di presentarti a tutta la mia famiglia!» mi stringe a se e fa per baciarmi.
«Non ci provare! Ci ho impiegato più di un'ora per farle il trucco.» esclama Lucrezia irrompendo nella stanza.
«Non rompere, guastafeste!»
Esco dalla camera e vado in mansarda per cercare il mio telefono.
Quando torno in salotto, i parenti iniziano ad aumentare sempre di più.
Saluto tutti e mi presento ad ognuno, mentre Alessandro è accanto a me.
«Va tutto bene?» mi sussurra.
Annuisco e continuo con le presentazioni.
«Sono tanti nomi da ricordare.»
Sorrido e vado verso la cucina.
«Serve una mano?» chiedo a Bianca.
«No no, ti ringrazio. È già tutto pronto.»
«E così, tu sei la fidanzata di Alessandro?» mi chiede una ragazza altissima dai capelli rosso tinto. Ha un vestito molto lungo bordeaux scollato sulla schiena e anche sul davanti.
«Si.» sorrido mentre ci stringiamo la mano «io sono Elisa, una sua collega di lavoro.»
Quando torniamo in sala, tutti sono seduti al tavolo, tranne Alessandro.
Guardo l'ora al telefono e vedo che sono quasi le nove.
Salgo al piano di sopra mentre la cena viene servita in tavola.
«Ale?»
«Sono qui piccola.» dice uscendo dal bagno.
«Ti senti bene?» annuisce e mi oltrepassa «sono solo un po' stanco.»
Quando torniamo a tavola, fra tantissimi discorsi, alcuni parenti di Alessandro mi chiedono come ci siamo conosciuti.
Dopo aver raccontato il tutto, vediamo che è quasi mezzanotte, nonostante non abbiano ancora finito la cena.
«Tipo cenone meridionale piccola.» sghignazza lui mentre io dico «cavolo e siamo solo al secondo.»
«Digeriremo a Natale prossimo, minimo.» scoppio a ridere insieme e mi avvicino a lui per baciarlo.
«Manca poco a mezzanotte.» sussurro al suo orecchio e lo prendo per mano.
Nella confusione nessuno si accorge che andiamo al piano di sopra.
«Che hai in mente?» chiede e lo porto in bagno, per poi chiudermi la porta a chiave alle spalle.
Appoggio l'indice sul suo labbro per zittirlo e quando inizio a scendere con la mano, si appoggia con la schiena alla porta del bagno mentre crollo in ginocchio davanti a lui.
«Piccola che stai...» gli sbottono la cinta, abbasso la zip dei pantaloni e glielo tiro fuori.
Ha la punta già bagnata e tutta completamente lucida.
Appoggio le labbra sulla sua cappella perfetta e lo sento già pulsare sulla mia lingua.
«Non venire.» lui abbassa gli occhi su di me e io lo prendo tutto, strappandogli un forte gemito.
«Porca troia!» la sua mano si insinua tra i miei capelli e muove la testa avanti e indietro per continuare il mio movimento di bocca.
Quando inizio a muovere in cerchio la lingua attorno la punta, lo sento tremare.
«Ti prego non così... Mi fai...»
Qualcuno bussa alla porta.
«Occupato!» dico ad alta voce.
«Dovremmo andare...» sussurra Alessandro. Io lo guardo da sotto le lunghe ciglia piene di mascara e faccio no con la testa.
Bussano ancora.
«Un attimo!»
In quel momento lo prendo tutto e mi muovo velocemente fino in fondo senza dargli tregua.
«Vengo!» urla lui e mi esplode in gola. Quando mi rialzo da terra, Alessandro sta ancora schizzando sul pavimento.
«Cazzo!» sussurra e si riveste di corsa per poi pulire per terra.
Quando mi guardo allo spacchio, vedo che ho tutto il rosso sbavato, il mascara colato insieme alla matita. Sulle labbra dipinde di un rosso fuoco, sta ancora qualche goccia del suo orgasmo. Mi sistemo il trucco alla veloce e faccio per uscire.
«Sembri uscita da un porno, piccola.» scoppio a ridere e vado ad aprire la porta del bagno.
Quando usciamo, Elisa è appoggiata al muro.
«Bene bene bene.» biascica.
L'odore disgustoso del suo alito mi fa venire la nausea. Ma quanto ha bevuto?
Lei guarda Alessandro e si morde le unghie finte. Se lo sta proprio mangiando con gli occhi.
«I due piccionci sempre insieme.» barcolla verso di noi.
«Elisa, smettila.» esclama lui.
La guarda negli con rabbia, ferocia, paura.
Paura di cosa?
«Dai non glielo dici alla tua amichetta?» esclama, prendendo una ciocca dei miei capelli.
«Non toccarla!» Alessandro le afferra con forza la mano e la scosta.
«Cosa devi dirmi?» guardo prima lui poi lei.
«Niente. È ubriaca. Dice stronzate.» lui mi afferra la mano e mi trascina fuori dal bagno, oltrepassando la sua collega.
«Perchè non le dici la verità?» esclama lei.
Mi divincolo dalla sua presa e mi giro verso di lei.
«Elisa, se non chiudi quella cazzo di bocca...»
«Merita di sapere un paio di cosette che le stai nascondendo.
Cosa ti credi? Che non ho visto nel cassetto della tua scrivania?» fa un sorrisetto malefico e incrocia le braccia davanti al suo prospero seno.
«Elisa!» urla lui.
Al piano di sotto nessuno si accorge di questo spettacolo osceno e tutti continuano a brindare, facendo il conto alla rovescia.
«Dieci... Nove... Otto...»
«Passi un paio di sveltine con me sulla tua scrivania quando sei libero un momento...» mormora lei, andandogli in contro, mettendosi fra me e lui e continua dicendo «ma non puoi nasconderle la sua vera identità.»
La guardo a bocca aperta.
Mi ha tradita...? E non solo...
Mi manca il respiro e nonostante sia sobria, mi gira la testa da morire. Mi sento mancare la terra sotto i piedi... Sembra mi stia crollando addosso l'intero universo...
«Ti disse che era andato tutto perduto nell'incidente aereo, vero? Beh, non il tuo passaporto, tesorino.» dice, e me lo porge.
Quando lo apro, resto scioccata.
«Ella Gibson...» leggo.
«È quello il tuo vero nome. E lui lo sa dall'inizio. Lo ha sempre saputo.»
Alzo lo sguardo su di lui.
Le lacrime mi rigano le guance, mi bruciano gli occhi come se avessi il fuoco.
«Bea...» mormora.
Fa per toccarmi, ma mi ritraggo.
«Non. Osare. Toccarmi.!» sbotto e lo oltrepasso.
«Brutta stronza!» lo sento urlare ad Elisa e lei che risponde «ho avuto le palle di fare quello che avresti dovuto fare tu. Non prenderla in giro ed essere onesta.» dice lei.
Salgo nella mansarda due scalini alla volta nonostante i tacchi.
Prendo il mio telefono e scendo velocemente andando in camera.
Dalla sala sento «sette... sei... cinque...»
Prendo la mia giacca nell'armadio e la borsa sulla sedia. Controllo che ci sia ancora il biglietto di quel ragazzo e quando lo trovo, lo metto nella cover del mio telefono.
Esco dalla camera e corro di sotto.
«Bea aspetta!»
Quando lo vedo correre per le scale, esco di corsa da quella casa, mentre tutti urlano «Quattro... Tre... Due... Uno... Buon Natale!»
La pioggia è ghiacciata e mi bagna da capo a piedi in pochissimo secondi ma non me ne importa niente.
Mentre corro per inseguire un taxi, lo vedo che mi sta seguendo.
«Bea fermati, cazzo!»
Quando finalmente vedo un taxi, urlo più forte che posso.
Appena si ferma e io entro dentro, dico tassista di partire.
«Presto!» urlo e lui schiaccia il piede sull'acceleratore la macchina parte a tavoletta sull'asfalto bagnato.
Scoppio in un pianto disperato e liberatorio.
«Si sente bene signorì?» chiede l'uomo alla guida.
Annuisco e mi asciugo le lacrime.
«Può portarmi in via Toledo?»
«Certo.»
Prendo il bigliettino e digito il numero di quel ragazzo.
Al terzo squillo risponde.
«Ella...» la sua voce mi risuona nella testa per minuti che sembrano ore.
«P-puoi venire a prendermi...?» inizio a piangere di nuovo. Maledizione!
«Cos'è successo?? Dove sei??»
«Niente...»
«Ella, parlami. Respira. Calmati, e dimmi dove sei.» mi calmo cercando di respirare più lentamente, ascoltando la sua voce che mi mette tranquillità.
«Vieni al posto dove ci siamo incontrati.» e chiudo la chiamata.
A raffica iniziano ad arrivare infinite chiamate perse da parte di Alessandro.
Mi ha mentito per tutto questo tempo...
«Buon Natale signorì.» esclama il tassista robusto con la barba lunga che non smette di guidare.
«Anche a lei.»
Arrivata a destinazione, pago e scendo dal taxi.
Il freddo è insopportabile.
Quando arrivo alla piazza dell'ultima volta, quel ragazzo ancora non è arrivato.
Mi guardo intorno ma non lo vedo.
Passano circa dieci minuti mentre me ne sto seduta a una panchina, sotto la pioggia scrociante.
«Ella!»
Mi volto di scatto e lo vedo.
Alto, capelli ricci e bagnati che gli ricadono sul viso e occhi verde smeraldo. È stupendo.
Mi alzo e gli vado incontro.
A un passo da lui, mi sento mancare la terra sotto i piedi quando siamo occhi negli occhi.
«Posso restare con te...?» balbetto con un filo di voce.
Lui mi prende per mano e mi avvicina di più a se dicendo «anche tutta la vita.»

«È qui che alloggi?» chiedo, mentre passa la tessera magnetica nella serratura della sua stanza, in un hotel.
«Si. È da settembre che sono qui. Poco dopo che sei partita.
Sapevo che ti avrei trovata. Tutti i notiziari hanno parlato di quell'incidente aereo.» dice richiudendosi la porta alle spalle.
«Il bagno è lì se vuoi farti una doccia.» annuisco e mi dirigo verso il bagno, posando la borsa sul pavimento.
«Non nulla da mettermi... Oltre questi vestiti.» dico, stringendomi nelle spalle.
«Non preoccuparti, puoi prendere una mia maglia.» dice e si siede sul letto splacciandosi le scarpe.
«F-faresti la doccia con me...?»
Alza lo guardo su di me, tremante di freddo, appoggiata alla porta.
Lui si toglie la felpa, i jeans, le calze e i boxer davanti a me, mentre io, titubante, resto a guardarlo.
Mi avvicino a lui, camminando lentamente, tenendo gli occhi nei suoi.
Mi trema il labbro e gli occhi mi si riempiono di lacrime.
Quando queste iniziano a rigarmi le guance, lui me le bacia una ad una.
«Sono io. Mark.» sussurra, prendendomi il viso tra le mani.
Sospiro di sollievo a quel tocco così dolce, familiare.
«Che ruolo avevi nella mia vita, prima di tutto questo?» la domanda mi esce di bocca ancora prima che il cervello si connetti.
«Davvero non ti ricordi...?»
Sospiro e abbasso lo sguardo.
«Stavi per diventare... La signora Harper.» sussurra lui che faccio quasi fatica a sentirlo, nonostante il mio viso sia a pochi millimetri dal suo.
«La... Signora Harper?» lui annuisce.
«Ti ricordi invece di Kristal?»
«Kristal?» domando confusa.
«Nostra...»
«Nostra cosa?»
«N-nostra figlia.» resto a bocca aperta.
Ho una figlia? Ma da quando?
«Che cosa? Io sono...»
«Si, sei madre Ella. Sei la sua mamma. E stavi per diventare mia moglie.»
Sono sotto shock. Troppe cose tutte insieme. Troppe informazioni e ricordi nello stesso momento.
«Ma... Dov'è?» chiedo.
«È a casa. Ho chiesto a mia madre se potesse tenerla. Torno ogni fine settimana, e poi tornavo qui. Avanti e indietro così da settembre, fino ad oggi.» spiega, mentre io mi spoglio davanti a lui, sotto il suo sguardo attento.
«Mi dispiace...»
«Di cosa?»
«Non credevo mi sarei innamorata di lui... Non sapevo che tu... Che noi...» non riesco a parlare. Scoppio a piangere tre le sue braccia.
«Non è colpa tua. È già tanto che sei viva. Sei un miracolo.» le sue parole mi sciolgono il cuore.
«Non posso credere che mi abbia mentito così, per di più tradita...»
«Che cosa?» sbotta lui.
«Già. Alla festa a casa sua, tra tanti parenti e amici, c'era una sua collega. E nel bel mezzo dei festeggiamenti, lei tutta ubriaca, è venuta a dirmi tutta la verità su di lei e lui...» mi asciugo le lacrime e tiro su col naso.
«Che gran figlio di puttana.»
Mentre entriamo nella doccia, apro l'acqua calda e il primo getto è gelido.
Mark mi lava dolcemente la schiena, poi le braccia e il seno.
Abbasso gli occhi e noto il suo pene completamente in tiro.
«Scusa...» dice e si inizia a lavare.
Quando si passa la spugna sul petto, appoggio una mano sulla sua per fermarlo.
Prendo la spugna e continuo a lavarlo io. Schiena, braccia, addome e quando arrivo al suo inguine, le scento sospirare.
«Piccola...» sussurra.
«S-scusa...» dico e prendo il soffione della doccia per sciacquarci.
Quando usciamo dalla doccia e ci asciughiamo, torniamo in camera.
«Puoi mettere questa.» dice e mi lancia una felpa nera. Quando me la metto, mi vengono i brividi.
«Tieni.» dice, passandomi un paio di boxer bianchi e mi infilo sotto la sua felpa che mi fa da camicia da notte.
Mi sdraio accanto a lui sotto il piumone e quando mi giro di schiena a lui, lui si mette dietro di me e mi abbraccia.
«Grazie di avermi chiamato.» esclama, sentendo il suo respiro sul mio collo.
«Grazie a te.» sussurro.
«Di cosa?»
«Di non aver perso la speranza nel cercarmi.» sussurro, prima di addormentarmi profondamente abbracciata al mio salvatore.

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