Ricordi dolorosi

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La mattina seguente iniziai in anticipo il mio tirocinio. Avevo deciso di assistere all'autopsia in programma che iniziava alle sette e trenta, così uscii frettolosamente. 

Non feci colazione visto quello che mi aspettava, non sapendo se il mio stomaco avrebbe retto. Percorsi a piedi la strada che mi portava al San Bart. Era una camminata un po' lunga, ma pensai che mi sarebbe servita per smaltire l'agitazione.

Quando arrivai davanti al maestoso edificio, ebbi un tremore improvviso, la paura di fallire era tanta. Molly mi aspettava, quando mi vide mi rivolse uno sguardo serio.

"Laura se ti senti sicura io ti ammetto in sala, ma se ti accorgi di non farcela esci e siediti in laboratorio a riprendere fiato. Oppure va a fare due passi." 

Cercai di rassicurarla, mi armai di buona volontà. Indossammo le protezioni, tute verdi, guanti e cappello. Respirai con forza ed entrammo.

La temperatura della camera autoptica era bassa, ma non fastidiosa, forse la cosa che disturbava era l'odore di disinfettante. La sala era attrezzata con tavoli funzionali, in acciaio lucido, che già mettevano ansia per il loro aspetto ascetico. Anche la luce interna era bianca e fredda. Nel lato destro le celle frigorifere erano disposte in ordine di data. Molly ne aprì una e portò la salma sul tavolo, e devo dire che cominciai già a tremare. Hooper dettò il nome e cognome del corpo, la causa della presunta morte e cominciò il lavoro.

Mi dava ogni tanto un'occhiata mentre mi spiegava cosa fare. All'inizio ressi bene, almeno un'ora la sostenni, ma quando arrivò ad aprire il cranio sussultai e sbiancai. Molly se ne accorse e mi mandò fuori senza tante scuse.

"Laura, basta per oggi, riprendi fiato, sei stata brava. Bada a non svenire e farti del male. E se te la senti consegna le cartelle come al solito." Non risposi, ma le fui grata.

Presi una boccata d'aria appena uscii, vidi che erano quasi le dieci, così raggiunsi il laboratorio per prendere i fascicoli e aspettare Holmes nel corridoio.

Ero avvilita e mi sentivo sconfitta.

Mi lasciai andare nella panchina che era vicino alla finestra, appoggiai le cartelle sul tavolo e attesi. 

Non avevo affrontato bene quella prima volta. Davanti al corpo di quell'uomo avevo subito visto riflesso mio padre adottivo, e questo non era stato un bene. Vecchi ricordi dolorosi si erano palesati con tutta l'angoscia di quella morte assurda. L'assassinio dei miei genitori e l'incubo di aver assistito alla loro morte, perché disgraziatamente c'ero e avevo pagato un conto salato di dolore fisico e mentale mai superato.

 Appoggiai la nuca sulla parete fredda, presa dalla nausea, chiusi gli occhi cercando di respirare ritmicamente. Avrei voluto piangere, ma quello non era il posto. Rimasi così cercando di calmare l'angoscia. Passò un po' di tempo. Non mi accorsi dell'incedere di Holmes, pochi passi silenziosi e mi fu vicino.

"Giornata difficile, dottoressa Lorenzi?" Sentii la sua voce raggiungermi, era calma e gradevole.

Scostai il capo dal muro e vidi Mycroft di fronte a me. La sua testa di lato, gli occhi grigi che mi fissavano attenti. Indossava un completo tre pezzi blu con una cravatta di un rosso cupo insolito, intravidi il suo abbigliamento perché aveva il cappotto aperto. Benché fossi contenta che fosse lui, fui subito scortese perché presa in un momento difficile. 

 "Le sue amate cartelle sono lì sopra, stia sereno non le farò perdere tempo."

Cercai di abbozzare un mezzo sorriso, ma mi venne un ghigno.

"Decisamente una giornata difficile!" Affermò Mycroft che rimase imperturbabile, indeciso sul da farsi.

Si sedette al mio fianco, una mossa inusuale per i suoi parametri. Appoggiò l'ombrello alla parete e sfogliò le cartelle con noncuranza. Prese del tempo e poi si decise a parlare. 

Le solitudini elettiveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora