Epilogo: Westminster Abbey

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La nostra convivenza divenne complicità. Il lavoro al San Bart mi assorbiva molto e anche Mycroft, che aveva ripreso a lavorare, era spesso in ritardo.

Ma dopo i primi inconvenienti riuscimmo a ricavarci del tempo tutto nostro. Ritrovarci a casa alla sera, per stare insieme, ci alleviava tutte le sofferenze della giornata.

Mantenni la mia promessa e dopo un'attenta ricerca arrivò dall'Italia una preziosa edizione della Divina Commedia.  Quando aprì il pacco i suoi occhi grigi si illuminarono di orgoglio, mi baciò così tanto che dovetti fermarlo. Imparò in fretta la lingua, ma a volte si perdeva nei vocaboli chiedendomi aiuto, fu bellissimo e coinvolgente vederlo leggere felice come un bambino. 

Lo stress e i  problemi della Governance lontani.

Fu un periodo sereno di conoscenza reciproca, a volte ero io a sostenerlo, a volte era lui a consolarmi con una pazienza infinita.

Fu un amante attento e la nostra intesa sotto le lenzuola divenne piena e appagante. Il suo amore colmò anni di rinunce e paure. Lui acquistò sicurezza al contrario di tutte le previsioni nefaste che aveva fatto Green.

La mattina faticavamo a lasciarci perché non smettevamo di accarezzarci e spesso lo inducevo in tentazione. Finivamo per arrivare in ritardo al lavoro e Anthea ci sgridava scuotendo la testa. Spesso la vedevo sorridere di nascosto, compiaciuta nel vedere finalmente sereno il suo capo.

Le ferite di Mycroft guarirono, abbandonò tutore e stampelle, il suo ginocchio migliorò anche se zoppicava quando era troppo stanco. Ma vederlo camminare al mio fianco quando Albert ci portava a passeggiare lungo il Tamigi, mi riempiva il cuore di una gioia immensa.

Una volta alla settimana, andavamo a Baker Street a cenare, passavamo del tempo a coccolare Rosie, e mi sorprendevo a guardare il volto di Mycroft addolcito, mentre stringeva la nipote. Sarebbe stato un ottimo padre, ne ero certa.

Era questo l'uomo che volevo e per cui avevo tanto lottato. Sapevo che aveva un cuore immenso di cui nessuno si era mai accorto.

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Un mese dopo, una sera, mi venne a prendere al lavoro prima della chiusura dell'obitorio al San Bart.

"Vieni voglio portarti in un posto." Brontolai un po' perché ero stanca e volevo correre a casa per stare fra le sue braccia.

Mi baciò la fronte, mi accarezzò la schiena. Un sorriso dolce sulle labbra.

Salimmo in auto, Mycroft diede delle indicazioni ad Albert, che sorrise compiaciuto, come sempre era discreto e affidabile.

Mi abbandonai al suo fianco, appoggiando la testa sulla sua spalla, mentre la sua mano mi stringeva al suo corpo.

Notai che stavamo entrando nella City, in pieno centro. Sbirciai dal finestrino.

"Non curiosare Laura. Ora vedrai." Mi redarguì divertito, e pochi isolati dopo Westminster Abbey mi apparve sulla destra.

"Albert lasciaci qui, più tardi ci sentiamo."

Lo guardai incredula. "Ma perché scusa? Mi sembra tardi per visitarla ora."

"Non per l'oscuro uomo più potente di Londra." Ironizzò lui baciandomi la guancia.

Scendemmo e lo aspettai, camminammo affiancati fino un'entrata laterale, visto che a quell'ora era interdetta ai visitatori.

"Ma come fai a sapere..." Gli chiesi guardandolo negli occhi che si beavano nel vedermi sorpresa.

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