Sherlock aveva deciso di riportare Mycroft a Baker street nel pomeriggio, mi ero accordata con Molly per poter tornare a casa in anticipo.
Avevo passato l'intera mattinata lavorando innervosita, alternavo alla gioia di rivederlo la paura del suo rifiuto.
Tornai a casa nel pomeriggio, e poco più tardi mi arrivò un sms di Sherlock che mi avvisava che erano parcheggiati di sotto. Scesi i pochi gradini di Baker Street, incespicando, con il cuore in tumulto.
Mi davo mentalmente della stupida, senza riuscire a calmarmi. Ero felice di rivederlo, anche se tremavo pensando che i soli due baci che ci eravamo scambiati, non erano stati sufficienti a cementare il nostro amore.
Non ero sicura di lui, tanto quanto ero sicura di me. Ero avvolta nella giacca, ma rabbrividii e mi strinsi per coprirmi meglio, decisi di accettare la sua reazione, qualunque essa fosse.
La berlina nera era ferma poco oltre l'inizio della via. Sherlock era già sceso, si era portato vicino allo sportello posteriore. Si girò un solo attimo verso di me, fece un cenno con il capo.
Mi avvicinai titubante, non distavo che pochi metri. Mi fermai indecisa, seguii con lo sguardo il giovane Holmes che aprì la portiera e aspettò con pazienza.
Mycroft scese con lentezza, si raddrizzò con fatica, Sherlock non lo aiutò, lo lasciò fare sapendo l'indole del fratello maggiore piena di dignitosa alterigia. Solo alla fine gli allungò la stampella che aveva sostituito il suo amato ombrello.
Mi si gelò il sangue quando vidi com'era dimagrito. Il cappotto era diventato largo, la sciarpa malamente appoggiata mancava della cura con cui la annodava. Intravidi le sue mani delicate parzialmente fasciate con poche dita libere, alcune riusciva a muoverle perché impugnò la stampella, cercando stabilità.
Zoppicando fece alcuni passi e il lampione illuminò il suo volto. Mi sentii mancare quando vidi i suoi capelli, troppo corti e radi, anche se in qualche punto stavano già ricrescendo. Aveva ematomi sul collo e piccoli tagli vicino all'orecchio.
Uno molto più profondo sul lato destro della fronte, scuro e irregolare che era stato suturato con pochi punti.
Si incamminò lento, il capo appena inclinato, ma come se mi avesse percepito si girò e mi vide.
Rimasi immobile, senza respirare, i suoi occhi si incatenarono ai miei. Avvertii il suo dolore attraversarmi, ma rapido come faceva spesso, si riprese e mascherò la sua debolezza.
Si controllava, non voleva pietà.
Gli sorrisi cercando di apparire serena e diedi fondo a tutta la mia capacità di attrice.
Feci i pochi passi che ci separavano. Quelli che avevo sognato spesso di fare per abbracciarlo in quei quaranta giorni, e invece rimasi immobile, una statua di sale.
"Ciao, bentornato, giusto per cena." Lo salutai garbata. "Vedo che hai avuto qualche divergenza con i tuoi rapitori." Cercai di essere spiritosa, anche se me ne pentii subito, era stata una battuta idiota.
Aggrottò la fronte e rispose qualcosa di incomprensibile. Un'ombra passò nei suoi occhi, mi studiava, valutava quello che vedeva dopo tanto tempo.
"Ciao Laura. Sei cambiata." Mormorò esitante.
"In meglio o in peggio? Perché potrei preoccuparmi!"
Mi sforzai di fare una mezza risata. Il mio impulso era quello di abbracciarlo forte, di accarezzarlo e di confortarlo. Invece tutto il suo corpo si era irrigidito, creando una linea di sicurezza. Un fossato d'acqua immaginario, dove non c'era nessun ponte levatoio abbassato. Allora capii che dovevo stare alle sue regole, si era allontanato da me ancora una volta, aveva resettato tutto il sentimento che c'era stato tra noi. Imparai rapidamente la lezione e tenni a freno il mio amore a senso unico.
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Le solitudini elettive
FanfictionLaura Lorenzi è un giovane dottoressa italiana, arrivata a Londra per specializzarsi in patologia forense. Convive con un doloroso passato che l'ha chiusa in una solitudine forzata. Quel lavoro, che tanto ha voluto, le fa conoscere un uomo complica...