In attesa del suo ritorno.

163 13 15
                                    



Andare al San Bart ogni mattina divenne pesante, soprattutto perché Mycroft non c'era. 

Mi ritrovavo a guardare il suo ufficio improvvisato, credendo di scorgerlo mentre assorto in maniche di camicia studiava quelle maledette cartelle che lo avevano allontanato da me. Magari era rientrato e mi voleva sorprendere.

E invece passarono i giorni e lui non tornava. Non avevo nessuna notizia, l'ultimo messaggio me lo aveva mandato la mattina che era partito.

L'avevo conservato. Mi dava il buongiorno, null'altro. Gli avevo risposto nello stesso modo. Poi più nulla.

Nei giorni seguenti controllavo che Sherlock fosse ancora a casa e questo mi sembrava un buon segno. Non parlavamo mai di Mycroft e lui evitava qualsiasi argomento.

Così lavoravo molto, forse troppo, mi impediva di pensare.

Molly, quasi in una mutua intesa, mi affidava sempre più casi. Frequentavo molto di più l'ispettore Lestrade perché la sostituivo a Scotland Yard.

Era un uomo burbero, ma corretto, l'unico che Sherlock tollerava e considerava una specie di amico. Avevo iniziato a superare le difficoltà del lavoro, imparai a mantenere la calma necessaria per essere un buon patologo, con pazienza gestii le mie paure.

L'inglese migliorava e presto avrei dato l'esame.  Tutto filava liscio, tranne l'angoscia per la mancanza di Mycroft

Alla sera Albert, mi aspettava e mi accompagnava a fare delle commissioni.

"Come va dottoressa? Una passeggiata le farebbe bene." Era gentile mentre prendeva la mia borsa e la metteva nell'auto. Io annuivo silenziosa e mi portava lungo il Tamigi. 

Scendevo e lui mi controllava discreto mentre camminavo lungo il fiume e raggiungevo una vecchia panchina dove mi fermavo a guardare scorrere l'acqua impetuosa.

Chissà se Myc stava bene, se mi pensava come facevo io. Riflettevo tristemente che quell'amore fosse tutto dalla mia parte. Mi sentivo insicura e traballavo spinta da assurde paure. Albert, paziente, mi aspettava in auto, vederlo mi faceva sentire la vicinanza di Mycroft, una sensazione strana, ma che mi confortava.

Silenziosi tornavamo a casa.

Gli chiedevo della sua famiglia, lui trasgredendo alle regole mi rispondeva per sollevarmi il morale. Così il peso che mi opprimeva il cuore si affievoliva. E passava un'altra giornata.

Anthea si faceva vedere più spesso, soprattutto la mattina e qualche volta pranzava con me.

"È lui che ti ha chiesto di venire?" Glielo chiesi mentre eravamo sedute in un piccolo ristorante, pochi giorni dopo la sua partenza. Abbassò il capo, annuì lentamente. 

"Non voleva che ti sentissi sola, mi ha praticamente ordinato di farti compagnia, ma non ce n'era bisogno, lo faccio volentieri." 

Mi prese la mano e la strinse, ero grata della sua vicinanza, lei lo conosceva meglio di me e questo mi aiutava.

"Tipico da parte sua essere presente adesso che non c'è." Anthea ridacchiò, poi si fece seria, piegò il tovagliolo e lo ripose con cura. 

"Tornerà Laura, gli hai fornito un valido motivo per farlo.

"Già, spero che si ricordi di me. Non ho fatto altro che dargli il tormento." Scossi la testa consapevole che tra noi non c'era stato molto, niente che saldasse il nostro rapporto.

Passai altri giorni fra tristezza e speranza. Fra paranoie e disperazione, lavorando senza sosta. Imparando tutto quello che potevo.

Fino alla sera che non trovai Sherlock a casa.  E tremai.

Le solitudini elettiveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora