Serata da Holmes. Prima parte

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Cercai di portare a termine gli incarichi che mi aveva affidato Hooper, mi ricavai un po' di tempo per le cartelle di Mycroft.
Feci il possibile per alleggerirgli il lavoro. Un pensiero mi disturbava, il fatto di aver invaso la sua zona confort. Sapevo della difficoltà che dimostrava nel concedersi e dare fiducia agli altri. Era radicato nella sua solitudine, dava poco spazio agli affetti qualsiasi essi fossero. Temevo che si arroccasse di più e che la nostra già debole amicizia naufragasse.

Lavorai nervosamente, poi decisi di fare il mio dovere come medico e come sua amica. Se mi avesse respinta avrei capito, perché sapevo esattamente chi era l'ice man che conoscevo.

Alle sei chiusi il laboratorio, decisa a raggiungere Mycroft, presi la mia borsa medica, raccolsi le cartelle rimaste e uscii. Con mia enorme sorpresa poco oltre, trovai Albert ad aspettarmi. Mi accolse con un sorriso sincero.

"Il signor Holmes mi ha dato ordine di scortarla da lui." Lo seguii senza dire nulla, avvertii John che avrei tardato, che ero da Mycroft. Sorvolai il resto, meglio non irritare Holmes sbandierando la sua salute compromessa.

Albert guidò scrupoloso per mezza Londra, fino a che non fummo fuori città. Mentre osservavo dal finestrino mi venne un dubbio.

"Albert, ma chi è Anthea? So che lo segue costantemente." Fu indeciso se rispondermi. Sbuffai risentita. "Avanti Albert, non stai tradendo Mycroft."

Mi guardò dallo specchietto retrovisore. 

"E' la sua segretaria e sostituisce mister Holmes, quando lui si assenta." Ora capivo che lei era il suo braccio destro, ed era praticamente insostituibile. Lo ringraziai, mi accomodai meglio seguendo la strada, finché giungemmo a una specie di villa antica ben protetta da telecamere.

Ci mancava che abitasse in un maniero, questo completava la personalità tortuosa di Mycroft.

Albert mi lasciò nel viale, lo fissai perplessa. "Segua il sentiero, alla fine troverà l'ingresso." Mi sorrise, guardandomi in faccia. Non ero semplicemente sbalordita, lo ero di più. Sapevo dei pericoli che correva, ma che vivesse in un fortino era veramente troppo.

Uno scanner all'ingresso mi esaminò il volto. La porta si aprì.

La casa era decisamente inusuale, un tipico maniero inglese. Legno alle pareti, quadri antichi, statue, sembrava un museo. Percorsi un corridoio, scesi la scala e mi ritrovai in una stanza con un grande tavolo di legno, un camino e due poltrone di pelle, su una di queste vidi sprofondato Mycroft, e mi arrabbiai.

"Non dovevi essere a letto? Non mi hai ascoltato, Holmes." Lui si girò con aria indignata. "Buonasera Lorenzi, bada che sono appena sceso dalla camera." La voce era sotto tono, grezza, finì per tossire risentito dal mio rimprovero.

Mi avvicinai, lo scrutai meglio, mentre appoggiavo le cartelle sul tavolo e la borsa. Manteneva la sua aristocratica eleganza anche indossando un pigiama. Era di flanella blu a quadri grigi, abbottonato sul davanti, i pantaloni dello stesso colore terminavano mostrando la caviglia con dei calzini in tinta.

Le pantofole di panno con uno stemma colorato sul davanti erano abbandonate sul tappeto. Una vestaglia di panno blu a losanghe lo avvolgeva.

In mano reggeva un libro che appoggiò nel tavolino tra le due poltrone. Sembrava sfebbrato, ma gli occhi erano un po' arrossati. Qualche colpo di tosse lo scuoteva ancora, rabbrividì e si strinse nel plaid colorato che aveva sulle ginocchia.

"Perché sei sceso? Il letto era più comodo e più caldo." Lo interrogai fingendomi severa, ma ero felice di vederlo star meglio.

"Per aspettarti, che altro? Dovevo pure accoglierti. La casa è grande."

Le solitudini elettiveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora