L'addio a sir Edwin Malvest

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Ci mettemmo poco a tornare a Baker Street, Anthea mi salutò lasciandomi sotto casa per non suscitare sospetti.

Salii quei pochi gradini con una stanchezza crescente e il cuore a pezzi.

Fortunatamente John era uscito con la figlia, salutai solo la signora Hudson, giustificando il mio ritorno anticipato accampando un mal di stomaco in parte vero.

"Hai una faccia strana Laura." Mi scrutò attenta, dovetti distogliere lo sguardo. 

"Non avrai problemi con Mycroft?" Azzardò con una mano per aria. "Non ti merita per nulla!" Sentenziò acida. Non replicai sapendo che non era propriamente il suo Holmes preferito.

"Va tutto bene, Marta, lo sa che ha sofferto, non sia così severa."  Lei sbuffò e continuò a pulire le scale.

Sorrisi rammaricata, certo che Mycroft era antipatico a molte persone, eppure sapevo che il suo cuore era rosso e premuroso come quello di chiunque altro.

Nella mia cameretta trovai un po' di pace, mi tolsi le scarpe e mi lasciai cadere nel letto vestita, rimasi immobile a fissare il soffitto.

Davanti agli occhi rivedevo la rabbia incontrollata di Myc, quelle mani che anche se fasciate si erano strette in pugni pericolosi, eppure era impossibile che mi fossi sbagliata su di lui. E se fossi stata io la causa di quella tensione che non riusciva a controllare? Se non fosse riuscito a gestirla, come avrei potuto proteggerlo?

La lite era stata esasperante, lo avevo spinto al limite, per metterlo alla prova, ma si era fermato e questo voleva dire che il suo essere c'era, con i farmaci o senza.

Sprofondai in un dormiveglia insolito per quell'ora.

Fu la voce di Rosie a svegliarmi, strillava e correva di sotto. Infilai la testa sotto al cuscino e rimasi lì, incapace di alzarmi, erano le sei di sera.

Al diavolo gli Holmes.

Il cellulare vibrò, lo cercai a tentoni sul comodino. C'era un messaggio di Mycroft, voleva vedermi e parlarmi, mi aspettava di sotto in auto.

Mi assicurava che ero al sicuro perché c'era Anthea.

Ero indecisa, ma il dispiacere che provavo per la piega tossica che aveva preso il nostro rapporto, mi spinse a scendere. Ero testarda e innamorata, nonostante tutto.

Indossai la giacca e scesi, al piano di sotto trovai John, lo avvertii che uscivo con Mycroft. Mi lanciò uno sguardo curioso, capì che era successo qualcosa.

"Lo sa?" Si fece serio e mi avvicinò.

Annuii. "Sì, avevi ragione, si è arrabbiato e abbiamo litigato furiosamente."

"Va tutto bene?" Mi fissò allarmato, avevo gli occhi arrossati e lui non era stupido.

"Sì, ora va meglio, di pure a Sherlock che suo fratello sa tutto. Esco, c'è anche Anthea."

Strinse le labbra, mi accarezzò la spalla. "Sta serena, mi fido di Mycroft."

Non dissi altro, abbottonai la giacca e scesi le scale con il cuore in tumulto.

La berlina nera era poco più avanti. Albert, silenzioso e cortese scese, mi aprì la portiera. Anthea era seduta davanti, mi salutò con un sorriso, Mycroft dietro era addossato alla portiera.

"Entra Laura, non sono pericoloso, non siamo soli. Grazie per essere venuta." 

Agitò la mano per indicarli, la voce era roca, gli occhi socchiusi, come se la luce lo infastidisse. Era in disordine, il cappotto aperto faceva intravvedere la giacca sbottonata, la cravatta storta. La camicia bianca spiegazzata. Aveva bevuto e fumato parecchio, perché si sentiva odore di brandy e tabacco. Aveva l'aspetto di chi fosse stato in una stanza per ore e avesse discusso molto.

Le solitudini elettiveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora